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I termini sovranità e sovranismo si sono rapidamente sovrapposti a quello di populismo. Gli hanno dato un nuovo contenuto. La fortuna del termine sovranismo infatti è quella di indicare qualcosa di autoevidente e immediatamente tangibile: il diritto-dovere della priorità degli interessi del proprio Paese e del proprio popolo. Il popolo è sovrano, si sente ripetere come cosa ovvia e incontrovertibile. Anche nei confronti dell’Unione europea. Ma sovranismo, così come viene inteso nel dibattito di oggi, non è il semplice esercizio della sovranità. È la sua rivendicazione polemica.

Per ragionare su questa problematica teniamo presente la recente vicenda dell’Aquarius con la quale il ministro dell’Interno italiano ha sfidato le direttive europee in nome della sovranità nazionale. Il concetto di sovranità ha due dimensioni. Una per così dire esterna, che nel nostro caso riguarda la sovranità della nazione Italia, membro dell’Unione europea e partecipe di quella che viene dichiarata la sovranità condivisa in Europa.

Di fronte all’ormai annoso problema della migrazione incontrollata e incontrollabile, tale sovranità si è rivelata una finzione. Le direttive europee di Dublino sono diventate l’alibi per la volontà di molti membri dell’Unione europea di non condividere affatto la responsabilità dell’accoglienza e della gestione dei migranti. A questo punto il ministro italiano ha rivendicato la sovranità italiana, a suo avviso umiliata. Ma la sua verve retorica (“non siamo più schiavi” o “servi”) presuppone l’esistenza di un sovrano padrone che in realtà si defila.

Dov’è il sovrano europeo che ha la legittimità di decidere efficacemente e consensualmente? Non è il Parlamento di Strasburgo, non è la Commissione dell’Unione, bensì il Consiglio europeo degli Stati europei, dove un numero consistente di nazioni non intende andare oltre il Trattato di Dublino. Il virtuale decisore a “sovranità condivisa” è paralizzato, impotente. Quello che non hanno potuto fare i contrasti sui problemi economico-finanziari, lo ha ottenuto il dramma della migrazione.

Nel frattempo, però, si sono fatte vive singole nazioni. In primo luogo la Francia del presidente Emmanuel Macron, con uno scambio di battute molto pesanti sugli italiani cui si è cercato di porre rimedio alla bell’e meglio, esibendo poi la ritrovata amicizia grazie alla disponibilità del presidente italiano Giuseppe Conte per un (ancora vago) progetto comune di carattere europeo.

Dalla Germania, invece, paralizzata all’interno come non mai, sono venuti segnali contraddittori. Da un lato, una cauta comprensione per la condizione italiana, ma dall’altro lato la prospettiva, abbozzata unilateralmente dal ministro degli Interni tedesco (bavarese), in sintonia con il premier austriaco, di fare con l’Italia di Salvini (sic) “un asse dei volenterosi” per una politica di chiusura delle frontiere europee. Il risultato è una grande confusione di reazioni all’iniziativa sovranista italiana.

Dobbiamo così introdurre la seconda dimensione della sovranità: quella interna, di “casa nostra”. A nome di chi Matteo Salvini rivendica il suo modo di esercitare in esclusiva la sovranità nazionale dell’Italia? Il politico leghista non ha dubbi: per lui sovrano è il popolo, che egli stesso rappresenta. Ovvero la somma degli elettori che, nel caso italiano, combinando (con un contratto) due partiti, raggiunge la maggioranza.

Ma che cosa dice in proposito lo spirito e la lettera della nostra Costituzione? L’art.1 afferma: “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. La frase è estremamente concisa ma perentoria nel non identificare il popolo tout court con una maggioranza elettorale che ritiene di poter fare quello che vuole e come vuole. Il riferimento alla Costituzione, infatti, si articola e si sviluppa nel testo come insieme di regole vincolanti che riguardano i doveri dei partiti, i diritti dei cittadini, delle minoranze, ecc. Ci sono le prerogative del presidente della Repubblica e le competenze insostituibili della magistratura e dei grandi apparati amministrativi. Ma soprattutto c’è un grande sottinteso che univa tutti i costituenti al di là del loro peso numerico e delle loro differenze politico-ideologiche: la solidarietà e l’intesa comune quando sono in gioco i grandi interessi sovrani della nazione.

È questa la strada che intende percorrere oggi la classe politica al governo? Il gran parlare delle iniziative sovraniste di un ministro che sembra agire in assoluta autonomia solleva non pochi interrogativi. La sovranità di una nazione (democratica) è una cosa seria e impegnativa. Deve esprimersi attraverso l’attenzione e la lealtà reciproca tra le parti politiche, tra maggioranza e minoranze, pur nel mantenimento delle differenti posizioni. La strada da fare è lunga

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