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Io non ho una verità precostituita e sto cercando di capirne di più.

Sono partito dal chiedere una riflessione a Francesca Landi, responsabile comunicazione di SOS Villaggi dei Bambini Italia. Francesca è una grande conoscitrice del mondo del sociale e delle Ong alla quale riconosco una grande obiettività.

Ecco a voi le mie domande e le sue risposte:

“D: La ricerca di Demos-Coop, sul linguaggio corrente, Mapping delle Parole del nostro Tempo, ha recentemente confermato un sospetto: la parola “Ong” è finita tra quelle considerate più negative. E’ una sopresa?

Fare di tutta un’erba un fascio è superficiale e sconfortante. Lo è in particolare per chi, orientando le proprie scelte e il proprio lavoro, si impegna per il bene comune. Ben altra cosa è la provocazione che pone le condizioni per un confronto obiettivo e uno stimolo, specie se in essa vi corrispondenza tra il livello di informazione/approfondimento, come quello della perfezione di una lama affilata.
Come ONG siamo passati da angeli, orgoglio del Paese, al male assoluto, i collusi con la criminalità.
Come sorprendersi di questo risultato se è da più di un anno che assistiamo al continuo martellamento, parlando di scandali e malversazioni, una vera campagna d’odio –offline e online – contro le ONG, cresciuta senza arresto gettando su un intero settore tutto il male possibile!

D: Si incuba in questo modo un effetto generalizzato sul no-profit?

Si va per slogan, perché documentandosi si capirebbe che dietro queste organizzazioni ci sono persone che lavorano con professionalità e impegno, che hanno fatto una scelta di vita e di impegno civile, sociale o religioso; guardando i siti delle maggiori organizzazioni italiane si trovano i bilanci, trasparenti e certificati da enti terzi. Detto questo, se ci sono responsabilità individuali vanno definite e perseguite, perché continuare con questa generalizzazione alimenta solo quel clima di sfiducia dilagante e, purtroppo, a farne le spese sono proprio le persone che queste organizzazioni aiutano.
E’ stato scritto e detto di tutto, sarei ripetitiva e non spetta a me difendere un intero settore, ma sono pronta fare la mia parte se è il caso.

D: E’ una condizione irreversibile?

Mi addolora la perdita del senso di solidarietà e umanità, quei numeri impressionanti (300, 500, 1000) o i nomi delle navi che ci sembrano estranei, lontani da noi, sono volti e nomi, storie di vita. Se chi si scaglia contro queste persone avesse davanti agli occhi Ibrahim, Ahmad, Karim e conoscesse la loro storia personale, non metterebbe il pollice verso della mano come ai tempi dell’antica Roma per decidere la sorte di un gladiatore sconfitto. Questi non sono gli italiani che conosco; l’umanità smarrita trascina dietro di sé le persone meno informate, quelle che non si muovono, non viaggiano, non vanno nell’altra parte di mondo incrociando storie e persone in fuga, ma non per questo spietate e indifferenti.

D: C’è una risposta possibile?

Quando a essere messo in discussione è un intero settore, chi è in mare e chi no, ma questo non fa la differenza, viene minata la credibilità stessa di tutti coloro che operano secondo i principi di umanità, imparzialità, non discriminazione, indipendenza. La risposta non può che avvenire attraverso una comunicazione congiunta e trasversale, mondo laico e cattolico insieme, per raccontare le storie dei tanti Ibrahim, Ahmad, Karim, per dare i numeri spaventosi di quanto fatto e realizzato in tanti anni di lavoro, ribadendo con forza i valori di umanità e solidarietà, che sono alla base della nostra convivenza.

D: Da comunicatrice esperta del settore che misure adotteresti?

Noto una frammentazione, invece di dare risposte singolarmente, sarebbe opportuno creare una narrazione condivisa, che veda le organizzazioni collaborare nella produzione di contenuti e materiali e che, in pari tempo, vada a ripristinare l’ordine delle cose, eliminando quei sospetti di cui immotivatamente e immeritatamente è vittima tutto il settore. Vedrei con favore la proposta di creare una campagna di comunicazione trasversale, tra l’informativo e l’educativo, che si imponga con una dialettica forte, chiara e lineare alla dilagante diffamazione per contenuti e per toni usati per sminuire e denigrare il lavoro di tutte le ONG e di un intero settore. Chiederei aiuto a Oliviero Toscani, tanto per indicare un modello di comunicazione, forte e provocatorio.
Proporrei una vera e propria campagna di comunicazione che utilizzi tutti gli strumenti di comunicazione non solo online, ma si nutra di offline, dalla dinamica alle maxi affissioni, strutturata e articolata nel tempo, che non si rivolga agli “addetti ai lavori” o ai simpatizzanti, dobbiamo dedicare sforzi, energie e risorse a un lavoro ad ampio raggio. Il proseguimento delle riflessioni le lascio agli esperti e, se sono tra questi, magari ci ragioneremo ancora insieme.”

Accuse alle ONG:Francesca Landi: serve una contro-narrazione?

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