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Trump chiama, Conte risponde. Il presidente del Consiglio ha rassicurato Washington in merito alle sanzioni contro l’Iran entrate in vigore martedì, che colpiranno al tempo stesso il business negli Usa di tutti gli Stati che fanno affari con Teheran: “L’Italia è disponibile a valutare atteggiamenti più rigorosi” nei confronti della Repubblica Islamica qualora emergessero prove di una violazione iraniana dell’accordo sul nucleare (Jcpoa). Era la risposta che la Casa Bianca aspettava. Conte era stato avvisato da Trump, nella sua recente visita a Washington, dell’imminente stangata contro gli iraniani. In conferenza stampa il presidente americano aveva detto che Italia e Stati Uniti avrebbero fatto di tutto per impedire al “brutale regime iraniano” di ottenere un’arma nucleare. Conte, premier di un Paese che con quel “brutale regime” ha il più alto interscambio in Europa, non aveva battuto ciglio. Certo, gli investimenti italiani in Iran, dove operano grandi aziende come Saipem, Danieli e Ansaldo, non possono semplicemente essere ignorati. Così Conte ha promesso l’impegno del governo per “limitare al massimo l’impatto negativo” delle sanzioni secondarie americane.

L’ITALIA FRA WASHINGTON E BRUXELLES

Il messaggio politico però è stato lanciato. La special relationship del governo italiano con l’amministrazione Trump comincia a passare dalle parole ai fatti. Al feeling sulla gestione dell’immigrazione e all’annuncio di una cabina di regia Italia-Usa per la Libia si aggiunge ora un allineamento italiano con gli americani sulla gestione della fase post-Jcpoa (l’accordo sul nucleare iraniano, ndr). Non è un caso che il governo gialloverde non si sia unito a Francia, Regno Unito e Germania firmando con l’Alto Rappresentante Ue Federica Mogherini un documento di condanna delle sanzioni americane. Né Roma si è espressa sull’annuncio della Commissione Ue di un’imminente attivazione del Blocking Status, una legge europea di fine anni ’90 (quasi mai implementata) che dovrebbe permettere alle aziende degli Stati membri di aggirare le sanzioni statunitensi continuando a fare affari con Teheran. L’occhiolino di Conte a Trump conferma il canale preferenziale fra Roma e Washington e riflette una posizione diffusa nella compagine governativa. In un’intervista di maggio a Formiche.net il nuovo sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi aveva infatti definito la decisione di Trump di uscire dal Jcpoa “uno scatto molto più avveduto di quanto credano i partner europei”. Ora però serve attenzione a non tagliare il cordone ombelicale con Bruxelles per privilegiare l’alleato atlantico. Conte lo sa, e ha precisato subito che qualsiasi iniziativa italiana deve essere valutata “con i partner europei”.

LE REAZIONI DAL RESTO DEL MONDO…

Eccezion fatta per Israele e Arabia Saudita, nel resto del mondo l’annuncio delle nuove sanzioni americane ha ricevuto in risposta una doccia gelata. Al governo cinese non è piaciuto l’aut aut della Casa Bianca. In una dichiarazione del ministro degli Esteri Wang Yi diffusa da Reuters la Città Proibita condanna il nuovo pacchetto di misure americane e ci tiene a far sapere che i suoi legami commerciali con Teheran sono “aperti, trasparenti e legali”. La Russia dal canto suo si schiera con l’alleato persiano dicendosi “profondamente delusa” dalla scelta di Trump. “Queste sanzioni – si legge in un comunicato del ministero degli Esteri- mirano a compromettere l’applicazione del piano d’azione congiunto sul nucleare, dal quale Washington è unilateralmente uscita lo scorso 8 maggio”. Al coro si unisce la Turchia. Il governo di Ankara ha chiarito che non intende lasciare i suoi cittadini “né al buio né al freddo” e che pertanto continuerà a importare il gas naturale iraniano noncurante delle sanzioni. Sulla stessa linea d’onda India e Corea del Nord. Per il ministro degli Esteri di Pyongyang Ri Yong Ho, in questi giorni in visita a Teheran alla corte di Hassan Rohani, la ghigliottina americana sull’economia iraniana è una violazione del diritto internazionale.

…E IN IRAN

Benché il governo Rohani cerchi in tutti i modi di sminuire l’impatto delle sanzioni americane, i sintomi di un’escalation nella politica interna iraniana sono già cristallini. Alle proteste di piazza per il caro vita che hanno riempito le strade dei principali centri abitati nei giorni scorsi si aggiunge ora uno scossone interno al governo. Il ministro del Lavoro Ali Rabiei si è dimesso dopo uno schiacciante voto di sfiducia (129 su 243) del Majlis, il parlamento iraniano. Sul banco di imputazione la crisi economica che affligge il Paese ora aggravata dalla scure del Dipartimento del Tesoro Usa. Le dimissioni di Rabiei costituiscono un duro colpo per il “moderato” Rohani e segnano invece una vittoria per gli hardliners. Segno che il piano Usa per un regime change iraniano, con tutti i rischi che ne conseguono, potrebbe aver dispiegato i suoi primissimi effetti.

CYBERWARFARE IRANIANA IN ARRIVO

Cresce negli Stati Uniti la preoccupazione per una nuova ondata di attacchi cyber iraniani in risposta alle sanzioni. A lanciare l’allarme in questi giorni sono gli addetti ai lavori. Priscilla Moriuchi, esperta di Recorded Future, compagnia americana specializzata nella previsione delle minacce cyber, mette in guardia da una cyber-retaliation iraniana: “anche se non ci sono minacce specifiche, nelle scorse settimane abbiamo assistito un aumento dell’attività cyber iraniana”. I timori sono condivisi dall’intelligence Usa e trovano fondamento nelle parole del generale Qassem Solemaini, comandante della Forza Quds, il reparto d’élite delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, che circa un mese fa ha avvisato il mondo delle nuove capacità di Teheran nella “guerra asimmetrica”. All’indomani del ritiro americano dal Jcpoa le agenzie di intelligence e il settore privato hanno registrato un aumento dell’attività cyber iraniana e un picco di cyber-attacchi contro istituzioni bancarie e aziende nel settore della Difesa e dell’Energia da parte di collettivi hacker noti agli 007 americani come Apt33, Rocket Kitten e OilRig Hacker Group.

Sull’Iran il premier Conte si tiene in equilibrio fra Trump e Ue. Ottimamente

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