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Dall’Italia alla Polonia, dalla Francia alla Germania. Centinaia di contenuti filo-russi sono apparsi sulle bacheche Facebook degli utenti europei, proprio a ridosso delle elezioni più importanti della storia dell’Unione. Dall’analisi di Politico, farebbero parte di una campagna molto più vasta che già in aprile aveva sponsorizzato circa 4.000 contenuti che avevano raggiunto circa 38 milioni tra francesi e tedeschi. Nonostante fosse nota alle autorità, ha continuato a proliferare arrivando ad altri 3 milioni di persone solo nel mese appena trascorso.

Probabilmente niente che abbia spostato più di tanto l’opinione pubblica, visto che da quanto viene riportato molti dei contenuti a pagamento erano poco comprensibili, con parole troncate. Ma è comunque un’evidenza quella che Mosca continua con la sua guerra ibrida per condizionare l’elettorato europeo. La maggior parte degli annunci riguardavano l’Ucraina, nel tentativo di spiegare che un suo ingresso in Europa sarebbe deleterio per il resto del gruppo, così come esiziale sarebbe continuare a difenderla in guerra mentre i problemi dei cittadini sono altri, ma vengono ignorati per alimentare il conflitto. Una narrazione che ricalca la propaganda del Cremlino.

Niente di nuovo, ma comunque preoccupante. Ancor di più perché Meta non sarebbe stata capace di arginare la minaccia. Secondo la legge chi acquista un annuncio politico deve mostrare un documento di identità ufficiale e non può promuoverlo al di fuori del proprio Paese, ma in oltre 16 stati membri dell’Ue il 65% di questi annunci non era etichettato come contenuto politico. E la società che fa capo a Mark Zuckerberg ne avrebbe rimosso il 5% appena. Nonostante dall’azienda si difendano, i ricercatori le chiedono di alzare l’asticella della vigilanza: “L’ondata di annunci illegali che si muovono tra le regole delle piattaforme è un campanello d’allarme per Meta e le autorità di regolamentazione, affinché applicano il Digital Markets Act in modo più rigoroso”, ha spiegato Amaury Lesplingart, uno dei fondatori della ong CheckFirst che ha indagato sulla vicenda.

Non è soltanto la Russia a promuovere illeciti online. Proprio ieri OpenAI, la società di Sam Altman e madre di ChatGpt, ha annunciato di aver individuato negli ultimi tre mesi cinque tentativi di promuovere attività ingannevoli con i suoi modelli di intelligenza artificiale. A farlo sarebbero state campagne provenienti da Russia (conosciuta come Doppelganger, la stessa che avrebbe un aggancio con le attività promosse su Meta e che le autorità avevano sgominato due anni fa), Cina (nota come Spamouflage), Iran (Unione Internazionale dei Media Virtuali) e da una società con sede in Israele (Stoic, chiusa anche da Meta). L’obiettivo era utilizzare gli strumenti di IA generativa per creare articoli, traduzioni di testi, profili social, commenti volti a influenzare l’opinione pubblica, ma a quanto pare con un successo limitato.

Era chiaro che con l’avvicinarsi del voto che potrebbe cambiare faccia all’Europa le campagne di disinformazione si sarebbero moltiplicate. Non stupisce dunque che questi tentativi di intromettersi di nascosto nella società per plasmare – o comunque influenzare in qualche modo – il suo pensiero stiano emergendo sempre di più. Piuttosto bisogna saper strutturare bene le proprie difese cibernetiche, come ha ribadito ancora una volta l’Onu.

“Abbiamo fatto uscire il genio dalla bottiglia e ora siamo in una corsa contro il tempo”, ha dichiarato del vertice globale AI for Good a Ginevra la segretaria generale dell’Itu (Unione internazionale delle telecomunicazioni delle Nazioni Unite), Doreen Bogdan-Martin. “È fondamentale rendere sicura l’IA. Abbiamo un’opportunità unica per guidarla a beneficio di tutte le persone del mondo”, ha aggiunto sottolineando come tuttavia “l’uso improprio minaccia la democrazia, mette in pericolo anche la salute mentale dei giovani e compromette la sicurezza informatica”. Lasciando un finale aperto, quanto allarmante: “Non sappiamo come la società e questa tecnologia evolveranno”.

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