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La trattativa tra Italia ed Europa prosegue sul suo binario, in attesa di un esito che appare sempre più scontato (qui l’approfondimento di ieri). Nel mentre però si vanno componendo altri due scenari, ben lontani dalla partita decisamente più politica Roma-Bruxelles: il debito e le banche. Due questioni legate a doppio filo ma che, a guardarle bene, viaggiano su frequenze diverse. Tutte e due danno la cifra dell’attuale momento finanziario dell’Italia ma la differenza è che mentre una rappresenta la classica buona notizia, l’altra lo è un po’ meno.

IL DEBITO ITALIANO TIENE

Questa mattina si è tenuta una delle aste di titoli pubblici più importanti prima della pausa natalizia, quella relativa ai Btp a 5 e 10 anni. Il Tesoro ha assegnato tutti i 4,250 miliardi di euro di Btp a 5 e 10 anni con rendimenti in calo. Il tasso sul titolo a cinque anni, venduto per 2 miliardi, è sceso al 2,35% dal 2,58% precedente mentre quello sul Btp decennale, venduto per 2,250 miliardi, è calato al 3,24% dal 3,36%. Il mercato ha anche assorbito Btp decennali per 2,25 miliardi, contro una domanda pari a 3,179 miliardi, a un tasso del 3,24% in diminuzione di 13 punti base. Per entrambi i titoli l’importo assegnato rappresenta il massimo dell’offerta. Tutto questo sta a significare che l’aver ammorbidito i toni nel confronto tra Roma e Bruxelles in tema di manovra ha pagato, perché gli investitori non solo hanno coperto lo stock di titoli messi in palio dallo Stato per finanziarsi il debito, ma per farlo non hanno chiesto un premio di rischio maggiorato rispetto all’asta precedente.

IL RINVIO DEL TESORO

Che il debito italiano sia ancora sostenibile, in termini di credibilità agli occhi degli investitori internazionali, lo si evince anche dai segnali giunti nei giorni scorsi dallo stesso ministero dell’Economia. Il Tesoro ha infatti cancellato le aste di titoli a medio-lungo termine previste per il 13 dicembre 2018, per un motivo molto semplice ma nonostante tutto non scontato per un Paese col terzo debito mondiale. E cioè “l’ampia disponibilità di cassa e le ridotte esigenze di finanziamento”, grazie alla quale “le aste di titoli a medio-lungo termine previste per il giorno 13 dicembre 2018 non avranno luogo”.

IL “PROBLEMA” BANCHE 

L’altra faccia della medaglia del debito, sono però le banche, chi cioè presta denaro all’economia reale. Qui la questione è molto semplice. Nei mesi scorsi, per stessa ammissione della commissione europea, gli istituti italiani hanno ridotto di molto lo stock di crediti deteriorati detenuti iscritti a bilancio: a giugno quelli lordi in Italia erano scesi al 10% dei prestiti totali, rispetto al 12,2% di un anno prima. Nel periodo le coperture sono salite dal 52,9 al 59,3%. Questo vuol dire che il rischio reale, cioè quello in termini netti, è diminuito in misura rilevante. Ma fare i compiti potrebbe non essere servito a granché visto che lo spread a ridosso dei 300 punti base da tre mesi a questa parte ha finito nei fatti con l’annullare i benefici derivanti dal taglio delle sofferenze. Gli oltre 350 miliardi di titoli in pancia alle banche hanno reso decisamente più costoso per le stesse effettuare la raccolta, oltre al fatto che i tassi sui prestiti sono saliti, dunque è più difficile prestare denaro. Non è un caso che un banchiere di primo piano, Giuseppe Castagna, ceo di Banco-Bpm, abbia fatto notare riferendosi al governo gialloverde come “tante banche devono sostenere miliardi di impatto di perdita di capitale a causa dello spread, non per problemi economici che oggi non esistono in Italia, ma per una scelta politica molto forte prima con voci su uscita dall’euro poi con tira-molla su numeri deficit”

LO ZEN DEL GOVERNO

Ma al Tesoro, almeno per il momento, preferiscono non dare troppa importanza al problema. A sentire questa mattina il sottosegretario all’Economia, Alessio Villarosa, “il sistema bancario italiano ha mostrato sin qui una forte resilienza e la crescita dei depositi bancari è continuata fino a tutto ottobre, per cui le banche dispongono della liquidità necessaria. Ed è bene ricordare che le banche sono meglio capitalizzate che in passato ed hanno notevolmente ridotto il loro funding gap (differenza fra stock di prestiti erogati e raccolta tramite depositi e strumenti assimilati, ndr)”

 

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