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Come sostiene nel suo bel libro, “Maleducati. Educazione, disinformazione e democrazia in Italia” (Luiss Press), Mario Caligiuri, uno degli aspetti che più mancano alla società italiana è un vero progetto pedagogico. Sia sul piano dell’istruzione pubblica, che su quello di una sana pedagogia civile. Una necessità che appare evidente guardando i dati sulla astensione nel voto nelle scorse tornate elettorali. Anche di fronte ai risultati dei ballottaggi delle ultime elezioni amministrative abbiamo assistito alle ovvie euforie dei “vincitori” ed alle, più o meno mascherate, depressioni dei “perdenti”, ma pare che non si sia fatto tesoro degli esiti e dei sintomi che hanno caratterizzato le scorse regionali ed europee.

Un fenomeno forte, diffuso e trasversale come l’astensionismo (confermato e rafforzato dal voto sui ballottaggi per le amministrative) che attraversa diversi ceti, strati sociali, opinioni politiche dovrebbe preoccupare molto la gran parte delle forze politiche. Pochi però si accorgono della gravità di come e di quanto si sia ristretto il recinto cruciale della democrazia italiana. Forse visto che ormai il corpo elettorale si è decisamente ristretto stiamo transitando verso una sorta di “democrazia a percentuale”. Si conteggia, si bilancia, si schermaglia, si contende sulle percentuali, dimenticando però i fondamentali dell’aritmetica elettorale, che stanno nelle quantità dei voti e degli elettori.

L’allarme dovrebbe risuonare in primo luogo tra le forze politiche, negli organi di opinione, tra gli intellettuali o sedicenti tali, nelle agenzie educative del nostro Paese. Eppure è ben noto che si dovrebbero contare le quantità prima delle percentuali. Non c’è dubbio che da troppo tempo nel troppo largo settore pubblico italiano domini per non poco – forse più per colpa della sinistra che della destra – l’etica della lottizzazione. Ora tale “etica” sembra essere applicata anche alle logiche elettorali. E grazie a ciò le percentuali servono non poco a distribuirsi man mano tra i partiti in lotti – di minore e maggiore potere – i voti e i seggi che ad essi competono, oltre che le cariche pubbliche.

Ma se c’è una cosa che non si dovrebbe lottizzare è proprio la democrazia, che si esprime soprattutto nel momento del voto. Una pericolosa restrizione del cruciale recinto popolare ed elettorale che è dovuta non solo a cause politiche, ma anche culturali, mediatiche e pedagogiche. Cause ben analizzate da Mario Caligiuri, professore di pedagogia dell’Università di Calabria, pedagogista e presidente della Società italiana di Intelligence, nel suo “Maleducati. Educazione, disinformazione e democrazia in Italia”. Un testo in cui si sottolinea che “la democrazia si basa su una partecipazione informata dei cittadini alla vita pubblica e questa consapevolezza deriva certamente dalla cultura, che è direttamente collegata con l’istruzione”. Caligiuri, in questi saggio, evidenzia quanto il problema del nostro Paese sia quello di avere una società “maleducata”, sia per lo scarso rilievo dato all’istruzione, sia per i processi di sostanziale disinformazione politica e giornalistica di cui sono vittima (ed esausti) i cittadini-elettori in questo perpetuo gioco di specchi tra politica e media che è la cifra del troppo diffuso dominio del cicaleccio. Di cui la principale conseguenza è la stanchezza, la disaffezione, il disinteresse per la vita politica del Paese.

Di fronte a questo stato di crisi sarebbe significativo e opportuno un progetto pedagogico che punti a creare non solo ottimi studenti, selezionati e valorizzati su base meritocratica, ma anche veri cittadini con un forte senso civico e dotati di un vero “spirito repubblicano”. Caligiuri sottolineando il nesso tra decadenza della democrazia e decadenza dell’educazione (oltre che del livello linguistico della comunicazione politica), sulla scia soprattutto degli studi del filosofo John Dewey, mostra come il vero problema della nostra nazione e della nostra vita politica sia soprattutto un problema pedagogico. Un problema causato non solo dalla disinformazione politica e mediatica (di cui Caligiuri traccia una “breve storia” documentata ed accurata), ma anche da anni di scellerate riforme scolastiche, e riforme mancate, che hanno disincentivato il merito e bloccato la società italiana, lasciandola vittima di corporativismi, lottizzazioni e familismo.

Ebbene, a un vero progetto pedagogico, non può però non affiancarsi un progetto di vera e seria pedagogia civile, non solo per una mera prospettiva di sviluppo, ma per risvegliare un serio e attivo senso della cittadinanza, di cui i partiti dovrebbero essere i primi promotori ed interpreti. Un compito che però non sembrano minimamente considerare… La pedagogia civile – unica terapia possibile rispetto a questo grande crollo della partecipazione democratica – sembra, infatti, essere sparita dalla scena politica. D’altronde abbiamo attraversato nelle scorse settimane in sequenza il 25 aprile, il 1 maggio e il 2 giugno (date cruciali per la vita civile della nostra Repubblica) tra i più divisivi della nostra storia democratica.

Un grande costituente, tanto dimenticato nell’Italia del presentismo, come Giovanni Conti (che di quella assemblea era vicepresidente ed era un grande pedagogista civile) aveva coniato la formula “Repubblicani in Repubblica”. Un concetto che sembra sparito nell’Italia dei settarismi e della divisività. Certo, il Presidente Mattarella fa sana pedagogia civile. Così come lo faceva dal medesimo scranno Carlo Azeglio Ciampi e da quello di presidente del Senato (e non solo da quello) con maestria Giovanni Spadolini. Ma un progetto così urgente di risveglio del senso della cittadinanza e del ritorno di una seria pedagogia civile, all’interno di un progetto pedagogico complessivo (come auspica Caligiuri nel testo), non può essere affidato ad una sola figura, seppur autorevole e che svolge egregiamente questo compito, come il capo dello Stato. È necessario quindi, anche per superare la piaga dell’astensionismo che logora e indebolisce la nostra democrazia, un ritorno complessivo (politico, intellettuale e culturale) di una sana pedagogia civile, che sappia valorizzare il merito e il talento per risvegliare i cittadini-elettori in modo che diventino finalmente dei veri “Repubblicani in Repubblica”.

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È necessario, anche per superare la piaga dell’astensionismo che logora e indebolisce la nostra democrazia, un ritorno complessivo (politico, intellettuale e culturale) di una sana pedagogia civile, che sappia valorizzare il merito e il talento per risvegliare i cittadini-elettori in modo che diventino finalmente dei veri “Repubblicani in Repubblica”

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