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Boeing ha annunciato di aver stipulato un accordo definitivo per acquisire Spirit AeroSystems. L’operazione è una transazione interamente azionaria, dal valore totale della transazione di circa 8,3 miliardi di dollari, inclusi i debiti netti riportati più recenti di Spirit. Contestualmente, Airbus ha firmato un accordo preliminare vincolante con Spirit per una potenziale acquisizione di alcune attività correlate ad Airbus. La società europea pagherà un importo nominale di un dollaro ma riceverà da Spirit un compenso di 559 milioni di dollari. L’operazione era largamente attesa dal settore, non solo a seguito dell’incidente accaduto al Boeing 737 di Alaska Airlines a inizio anno. A ottobre dello scorso anno, Gregory Alegi su Airpress parlava della situazione delle aerostrutture, ripercorrendo i passi che portarono il centro produttivo di Boeing di Wichita in Spirit AeroSystems e la crisi successiva della nuova azienda. A poco meno di un anno da quell’analisi, abbiamo chiesto al prof. Alegi di fare il punto sul nuovo capitolo di Spirit.

Qual è il significato dell’operazione attuale?

Oggi mi piacerebbe essere a Wichita per vedere come la città reagisce all’annuncio. Per puro caso mi trovavo lì vent’anni fa, quando Boeing annunciò la vendita di questo suo storico stabilimento, che ha costruito alcuni dei suoi prodotti più importanti, sia civili sia militari. Quel giorno la cerimonia di consegna del primo KC-767A all’Aeronautica militare (nonché primo 767 Tanker in assoluto) passò in secondo piano di fronte di questa sorta di abbandono da parte della casa-madre. Oggi immagino il sospiro di sollievo del ritorno in Boeing.

Qual era il contesto che portò alla decisione di Boeing di lasciare Wichita?

La vendita era nata in un’ottica finanziaria, per alleggerire i capitali immobilizzati. Wichita si trasformava da stabilimento in fornitore e secondo i piani, Boeing avrebbe comprato fusoliere e altre cose a prezzi inferiori, senza dover investire nel rinnovamento degli impianti, senza doversi far carico delle pensioni dei lavoratori e di tanti altri costi. In realtà, quasi subito Spirit si trovò in difficoltà nel fornire prestazioni ingegneristiche senza il supporto che aveva tradizionalmente ricevuto da Seattle. Quindi, fin dall’inizio furono evidenti le difficoltà di quella che, invece, sotto il profilo finanziario era apparsa un’operazione brillante. Negli anni Spirit ha dimostrato di rispondere con difficoltà alle oscillazioni e alle crisi del mercato, anche perché nel portafoglio ordini Spirit è rimasta largamente prevalente Boeing. Di conseguenza, l’ormai lunga crisi Boeing l’ha colpita senza che si potesse bilanciare con analoghe commesse di altri clienti.

Fu una scelta sbagliata?

La strategia di esternalizzare la produzione delle aerostrutture, in altre parole l’aereo fisico, quello che i passeggeri vedono e nel quale viaggiano, per concentrarsi invece sulla sola integrazione finale sembrò vent’anni fa additare la via del futuro, e fu seguita anche da Airbus. In realtà in questi anni c’è stata per entrambi una marcia indietro. Proprio perché il settore aeronautico richiede sempre grandi capitali, che i nuovi “aerostrutturisti puri” non avevano. Oggi con il riacquisto di Spirit si è compiuto un giro completo e si torna all’antico.

Dettaglio interessante è la cifra sborsata da Airbus per acquistare alcune attività: un dollaro. Cosa significa?

È un po’ come il caso della Fiat con la Seat oltre quarant’anni fa. La casa automobilistica spagnola fu ceduta per un peso al governo spagnolo, perché Fiat non voleva investire nel suo ammodernamento e nel rilancio. Lo stato spagnolo si prese così Seat per rivenderla poi a Volkswagen, dove poi ha avuto grande successo. In questo caso Airbus prende il controllo di alcune produzioni specifiche per alcune esigenze, in particolare le ali della famiglia A220 (ex Bombardier), costruite in Irlanda dalla ex Short. Ma siccome le attività sono in forte perdita, compra le attività a titolo nominale con un contributo di ben 559 milioni di dollari, a copertura di perdite e oneri di ristrutturazione. Si tratta dell’unico esborso in contanti dell’operazione, perché Wichita viene invece rilevata da Boeing con uno scambio azionario. Anche così, la cifra che viene pagata a Airbus è indicativa della gravità della crisi di Spirit.

Quale potrebbe essere l’impatto dell’operazione sul mercato delle aerostrutture in generale?

Restano ora da vedere i dettagli, ma probabilmente si ridisegnerà il mercato delle aerostrutture fornite da produttori indipendenti. Si tratta di una domanda particolarmente importante per l’Italia, da sempre fornitore significativo dell’industria statunitense e, in misura minore, europea. L’unico velivolo civile proprietario di Leonardo è l’ATR. Tutto il resto è per i grandi costruttori, che si tratti delle sezioni di fusoliera del Boeing 787 o degli impennaggi del Airbus A220. La divisione Aerostrutture di Leonardo ha sicuramente grandi capacità di progettazione, come mi diceva qualche anno fa – con una certa invidia – l’allora amministratore delegato proprio di Spirit. Però ora, con il ritorno di Wichita in Boeing, il mercato per i fornitori indipendenti si è improvvisamente ristretto. Ben difficilmente, in futuro, vedremo un significativo outsourcing di strutture primarie di grandi velivoli civili, come invece si è verificato lungo questi primi vent’anni del 2000.

Vi spiego il passo indietro di Boeing su Spirit. Parla Alegi

Dopo circa un ventennio di attività Spirit AeroSystems torna a casa Boeing, rappresentando il termine dell’esperimento di esternalizzazione delle attività produttive delle aerostrutture, con un definitivo passo indietro. Ne abbiamo parlato con Gregory Alegi, storico ed esperto aeronautico

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