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Il fenomeno della disinformazione è diventato una delle principali minacce per le società moderne, con implicazioni che spaziano dalla destabilizzazione politica al rafforzamento di regimi autoritari. Una tematica che è stata analizzata a fondo in occasione della conferenza internazionale “Countering Disinformation as a Global Challenge”, tenutasi il 28 novembre 2024 presso l’Istituto Polacco di Roma. All’evento, organizzato col supporto delle ambasciate di Estonia, Lettonia, Lituania e Ucraina, dell’ European Council on Foreign Relations e della Federazione Italiana Diritti Umani, ha visto alternarsi un parterre di esperti e rappresentanti istituzionali che hanno sviscerato i vari aspetti del problema, offrendo spunti su come costruire una risposta efficace e coordinata.

La crescente diffusione di campagne di disinformazione rappresenta una sfida complessa, favorita dal fragile tessuto socio-culturale fragile di molte realtà contemporanee. Dal dibattito emerge come in contesti caratterizzati da bassa cultura strategica e scarso pluralismo informativo, la propaganda trova terreno fertile. E l’Italia, come Paese dove la cultura strategica non è storicamente forte, rischia di essere particolarmente vulnerabile, rimarca il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri Alberto Barachini. Questo limite si riflette anche nel cinismo che a volte caratterizza l’approccio alla politica estera, descritto non come pragmatismo, ma come una sorta di “abdicazione” rispetto alla responsabilità di agire nel mondo. A Barachini fa eco anche Alessandro De Pedys, Direttore Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale, ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, che asserisce ” La disinformazione instilla sfiducia nella popolazione sulla propria leadership ed esacerba dibattito pubblico, soprattutto su temi particolarmente divisivi”.

Uno degli aspetti più preoccupanti è il ruolo della disinformazione come strumento di guerra ibrida. Questa strategia è particolarmente evidente nel caso della Russia, che utilizza la disinformazione per destabilizzare regioni come l’Africa e l’Europa orientale, integrandola in una più ampia strategia geopolitica.

In Africa, la disinformazione russa si manifesta attraverso un doppio approccio: da un lato, diplomazia ufficiale e accordi economici; dall’altro, operazioni ibride e manipolazioni mediatiche. Queste azioni mirano a presentare la Russia come una potenza “benevola” libera dai retaggi coloniali, una narrativa che però ignora la realtà delle politiche imperialiste del Cremlino, come ricordato da Mattia Caniglia, analista del Global Disinformation Index.

Anche la Moldova è stata indicata come un esempio paradigmatico delle tecniche russe di manipolazione. Attraverso campagne mirate su piattaforme come Telegram, la propaganda russa promuove falsi narrativi, come la perdita di sovranità associata all’ingresso nell’Unione Europea o la presenza di basi Nato sul territorio moldavo. “La Russia non ha bisogno di occupare militarmente la Moldova; può controllarla con mezzi politici e attraverso la disinformazione” ha evidenziato l’analista di Debunk Matteo Pugliese. Questa strategia sfrutta non solo la frammentazione politica interna, ma anche le insicurezze culturali e sociali dei paesi bersaglio. La capacità di adattare le narrazioni ai diversi segmenti della popolazione, come nel caso delle fake news in lingua romena, dimostra l’alto livello di sofisticazione di queste operazioni.

Nonostante il panorama allarmante, sono emersi esempi di resilienza sociale e politica. I paesi baltici e la Georgia hanno sviluppato strategie per affrontare la disinformazione, puntando sull’educazione civica e sul rafforzamento della coesione sociale. “Una società preparata può ridurre significativamente l’impatto della propaganda esterna” ha spiegato Tiina Ilsen, esperta di comunicazione strategica di PractNet in Estonia.

Disinformazione

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