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Davvero il crollo della lira turca è solo una questione tra Erdogan e gli Usa? Davvero soltanto le questioni aperte dei dazi, del pastore incarcerato e della guerra personale contro il predicatore Gulen sono alla base della crisi finanziaria di Ankara?

E ancora: ma chi ci guadagna (davvero) dalla crisi della lira turca? In realtà c’è un Paese che nella macro area in questionesta effettivamente beneficiando della crisi, senza che le schermaglie diplomatiche abbiano un ruolo: l’Egitto. Ecco perché.

QUI IL CAIRO

Diversi fondi internazionali che investono nei debiti dei mercati emergenti hanno ri-orientato alcuni di questi investimenti dalla Turchia all’Egitto. L’Egitto ha visto un rapido afflusso di denaro dal novembre 2016, quando ha raggiunto un accordo con il Fondo Monetario Internazionale per un programma di finanziamento triennale da 12 miliardi di dollari. Da quel momento ha preso avvio nel paese una fase di successive liberalizzazioni del proprio tasso di cambio con un aumento dei tassi di interesse.

Questo rapido accumulo di afflussi stranieri, rispetto a un afflusso meno significativo di investimenti esteri diretti, ha spinto alcune istituzioni di finanza internazionale a contrassegnare l’Egitto come uno dei cinque i mercati emergenti più vulnerabili al contagio dalla crisi della lira. Ma molti investitori la pensano diversamente, così come hanno osservato dalle colonne di Bloomberg sin dai primi giorni del crollo della lira turca.

E hanno motivato la loro opinione con il fatto di trovare ancora interessanti la stabilità valutaria e gli alti rendimenti presenti in Egitto, nonostante il crollo del debito pubblico da marzo, osservando che l’Egitto continua a fornire un’opportunità interessante per gli investitori dei mercati emergenti. Per cui se il rischio per chi investe in Egitto è comunque un elemento oggettivamente possibile ma ad oggi poco probabile, un altro elemento influisce in maniera diretta nel cambio delle citate percentuali: i paesi del golfo.

QUI GOLFO

L’appoggio dei paesi del golfo all’amministrazione Erdogan negli anni scorsi è stato significativo, così come negli ultimi giorni è spiccata l’offerta di aiuto alle banche turche da parte di quelle qatariote con un bonus da 15 miliardi per affrontare l’apnea di un debito che va verso il raddoppio del proprio valore. Ma di contro dal golfo ecco un ponte finanziario verso l’Egitto che ha trovato una continuità strategica nell’ultimo lustro.

E’dal 2013 infatti che da Emirati Arabi, Kuwait ed Arabia Saudita sono giunti notevoli quantità di denari in depositi della Banca Centrale. Non solo cash, ma prodotti petroliferi e finanziamenti. Erano i giorni caldi che hanno portato l’uscita di scena dell’ex presidente dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi per poi vedere la salita al potere del generale Al Sisi. Uno schema di supporto finanziario che è stato praticamente rinnovato nel 2017: in questo modo l’Egitto è stato sostenuto nella sua azione di impedire il calo delle riserve in valuta estera.

SCENARI

Ecco che se da un lato gli analisti predicano prudenza sulla dipendenza dell’Egitto dagli afflussi di denaro e di potenziali crac (come appunto il caso turco), ecco dall’altro il ruolo di player energetico che Il Cairo vede rafforzato, perché gode di quella stabilità istituzionale che Ankara non ha e non potrà avere nel breve-medio periodo.

Un altro segnale per gli investitori che è ora di andarsene da mercati emergenti ad alto rischio come la Turchia a favore di attività più solide sostenute (dal dollaro) come l’Egitto, dove il dossier idrocarburi si fa sempre più significativo.

In Egitto il gigantesco giacimento di gas Zohr in mare aperto si somma ai progetti in corso in Israele, Cipro e Libano.

L’intera macro regione del Mediterraneo orientale si è di fatto trasformata in un grande campo di gas che vede molti vettori di esportazione di quel gas in fervente attività.

Il produttore di gas emergente è l’Egitto, al netto delle triangolazioni esistenti e costanti con Nicosia, Tel Aviv e Atene, sommate ai riverberi del passaggio del gasdotto Eastmed.

Un quadro a cui va sommato l’ultimo pezzo di questo puzzle legato agli idrocarburi: il giacimento Noor, scoperto dall’Eni. Potrebbe contenere riserve possibili di circa 90 Tcf, che è 3 volte la dimensione del campo Zohr.

twitter@FDepalo

cipro, Turchia, varna, elicottero turchia, Erdogan

Chi ci guadagna (davvero) dalla crisi della lira turca?

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