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Quello che mi diverte di più, in questa settimana post-débâcle elettorale della sinistra, è l’ansia da prestazione a posteriori. Producono manifesti, twittano polemiche, sciolgono partiti e fondano nuovi movimenti. Nell’irrilevanza dei più. Anzi, peggio. Nella convinzione che il circoletto mediatico-politico, quello tra Prati e Piazza Colonna, sia il luogo di formazione, indirizzo e persuasione dell’opinione pubblica.

Se ci pensate è la stessa drammatica convinzione che ormai fa apparire la sinistra sempre più elitaria e lontana anni luce dalle reali questioni del Paese reale. Eppure la vittoria alle politiche, e adesso alle amministrative, soprattutto di Salvini, dovrebbe aver convinto gli scienziati della politica che consigliano i vari leader della sinistra che non è una trasmissione televisiva, né un fondo in prima pagina di un opinion maker, né il sostegno di un gruppo editoriale a far raccogliere consenso e vincere le elezioni. Adesso svelo un segreto, la sinistra è in crisi in tutte le democrazie occidentali.

È in crisi perché non riesce a dare una risposta di protezione alle domande che pone la globalizzazione, perché non costruisce più una cornice di senso, di appartenenza e di identità in cui ciascuno possa riconoscersi, soprattutto perché ha dimenticato la vecchia lezione secondo cui nomina sunt consequentia rerum. Per intenderci, il problema del Pd non è un’operazione di rebranding, di rinfrescare il nome il logo e i colori. È una questione molto più profonda, che ha bisogno di fatica, di studio e di ascolto. Servirebbe un viaggio nell’Italia profonda, nelle sue mille comunità, per comprendere davvero cosa è accaduto.

È evidente che al Palazzo mancano gli strumenti per scandagliare i movimenti che attraversano il Paese, e soprattutto manca la capacità di sintonizzarsi sulle miriadi di antenne sparse nei territori. I sindaci, le associazioni, il terzo settore, quello che una volta avremmo chiamato corpi intermedi. Ma anche i pendolari nei regionali in ritardo, le partite iva che si incontrano nei co-working, i consigli di fabbrica, le assemblee di condominio delle case popolari, gli oratori che continuano a investire nella prossimità. Per ascoltare e capire cosa arriva da queste antenne, ci vogliono tempo e pazienza.

Prima di dar loro una risposta, bisogna dar loro orecchio. Ed è proprio così che nascono le leadership. Non perché l’ha deciso qualcuno, ma perché una comunità trova finalmente un rappresentante in grado di inverare le istanze dei molti. Spesso lontano dalle luci della ribalta, e dalle camere accese di uno studio televisivo. Forse sta già succedendo adesso in Italia, sta già nascendo da qualche parte il nuovo leader della sinistra italiana (e spero fortemente che sia una donna) senza barbatrucchi, né prosopopea, né smania di ‘videor ergo sum’. E quando tutto questo sarà palese, state pur certi che le discussioni di questi giorni appariranno ancora più ridicole di quelle che sono.

sinistra

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