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Il maltempo che si è abbattuto sul Veneto e su altre regioni italiane provocando vittime anche in Sicilia ha ancora una volta evidenziato tutta la fragilità idrogeologica di larghe zone del Paese sulla quale da molti anni ormai si discute e si tentano rimedi, ma senza giungere a risultati conclusivi. Certo, la furia delle acque è stata superiore al temuto e ormai – come hanno rilevato alcuni autorevoli meteorologi – anche nel Mediterraneo, a causa dei cambiamenti climatici, dobbiamo attenderci mini uragani quasi simili a quelli che colpiscono grandi zone di altri continenti esposte da sempre ai cicloni.

Ma chi scrive vuole essere sincero sino alla brutalità, affermando che se ci spaventano gli eventi naturali con la loro carica distruttiva, ci spaventano ancora di più le lentezze operative e burocratiche che verranno frapposte a tutti gli interventi di riassetto idrogeologico che pure, dopo questa ennesima tragedia, si cercherà di mettere in campo in alcune regioni.

Sì, diciamolo con franchezza, il danno maggiore che si abbatterà sulle zone colpite dalle calamità sarà la lentezza – essa sì veramente devastante forse ancor più degli eventi naturali – con cui le autorità preposte incominceranno ad operare per cercare di avviare strategie di riassetto e consolidamento idrogeologico.
Non ci insegna nulla quanto è accaduto nelle zone terremotate del Centro Italia? Interventi di emergenza, sì, come sempre con la Protezione civile che ancora una volta ha dimostrato che in Italia non abbiamo nulla da imparare in materia, ma poi? A quando la ricostruzione dei Paesi colpiti? E nulla ci dicono la vicenda del crollo del ponte a Genova e le norme approvate dal Parlamento per ricostruirlo? Anche in quest’ultima circostanza allora si stanzieranno risorse – si parla già di 1 miliardo peraltro da reperire – che poi si sarà capaci ancora una volta di impiegare con insopportabile lentezza perché tutte le procedure di spesa devono certamente essere rispettate – com’è giusto che sia – ma all’interno di quadri amministrativi e autorizzativi spesso confusi, che accavallano competenze di enti diversi e che quasi sempre finiscono col creare problemi di interpretazione di specifiche norme.

Ora intendiamoci bene, nessuno vuole favorire spesa facile di danaro pubblico in forme non trasparenti, con la scusa dell’emergenza. Ma a nostro avviso ha pienamente ragione il capo della Protezione civile Borrelli quando afferma – dinanzi allo scenario da lui definito apocalittico dei danni nel Veneto – che di fronte a calamità che tenderanno purtroppo ad intensificarsi, sarà allora necessario adeguare quanto prima le normative regolanti gli interventi più utili non solo per la gestione dell’emergenza, ma per la ricostruzione delle aree funestate dalle calamità.

Allora, se almeno per una volta le forze politiche (tutte, nessuna esclusa) smettessero su questo punto specifico evidenziato da Borrelli di litigare e definissero invece – magari con sessioni straordinarie di lavoro delle Commissioni ambiente e lavori pubblici di Camera e Senato e con confronti serrati con la Conferenza Stato Regioni – un nuovo quadro normativo snello, chiaro, idoneo a favorire interventi strutturali in materia idrogeologica di grande respiro, forse questa ondata di maltempo, pur fra tanti danni e lutti, avrà almeno generato la consapevolezza che è finito il tempo delle polemiche sterili e che è giunto il momento di rimboccarsi veramente le maniche perché salvaguardare il suolo dell’Italia significa semplicemente salvare la casa condominiale in cui vivono tutti gli Italiani, qualunque sia la loro appartenenza politica. È solo una generosa illusione la nostra?

Ci impone una rapida, limpida e condivisa strategia di interventi anche il rispetto per le povere vittime di questi ultimi giorni.

terre

La lezione delle ultime calamità naturali

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