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Quando parliamo delle relazioni estere dell’Italia nei riguardi degli Stati Uniti, occorre distinguere tre situazioni, ci spiega Riccardo Alcaro, head of the Global actors programme dell’Istituto affari internazionali (Iai): “Italia-Cina, Italia-Russia e infine Italia-Usa”.

Partiamo dalla Cina, maxi argomento a cui il governo italiano ha dato molto spazio in questi primi mesi di attività: “Parliamoci chiaramente, non c’è particolare gradimento per nessuna iniziativa europea che porti all’alleggerimento della pressione sulla Cina”, spiega Alcaro, “perché in questo momento amministrazione e presidenza negli Stati Uniti sono molto allineati nel contrastare Pechino”.

Che cosa vuole Washington dall’Italia, che invece spinge verso Oriente? “Sicuramente l’America vuole essere sicura di quello che gli europei fanno nei confronti della Cina. Da tener presente che per quel che riguarda il commercio, Donald Trump fa fatica a vedere una linea netta di separazione tra la questione Cina e l’Ue, ossia nella misura in cui i deficit commerciai sono una questione di sicurezza nazionale, come l’attuale Casa Bianca li inquadra, tra Cina o Germania, per dire, non c’è troppa differenza interpretativa”. Per questa ragione l’attenzione è massima su contatti che potrebbero moltiplicare la situazione.

Se sulla Cina c’è un sostanziale allineamento tra presidenza, amministrazione e Congresso – secondo una profonda revisione dottrinale sull’approccio a Pechino in atto da tempo negli Usa, all’interno della quale, per Alcaro, quel che fa l’Italia ha un interesse periferico per gli americani – sulla Russia la situazione è diversa. “Farei una distinzione tra presidente e amministrazione”, dice: “Trump ha una fascinazione verso Vladimir Putin, una questione personale, caratteriale, quasi empatica: poi certo, sicuramente c’è un pensiero strategico in base al quale per mettere pressione sulla Cina e per portare avanti grandi temi come la lotta all’estremismo islamico, e anche per tenere l’Ue meno coesa, un rapporto preferenziale con Mosca potrebbe essere funzionale”.

“Ma in questo momento – continua l’analista dello IAI, specializzato in policy Usa-Ue – la Russia è considerata talmente tanto tossica a Washington che il presidente ha spazi di manovra molto limitati: varie parti dell’amministrazione (il Pentagono per esempio, che sente il dovere di rassicurare gli alleati più esposti alle intemperie russe) e il Congresso hanno preso fin da subito la linea dura col Cremlino”.

“Certo, è possibile che a Trump interessi avere una voce in Europa che segua i suoi obiettivi di riavvicinamento pragmatico verso la Russia (e magari spinga verso quella minor coesione all’interno dell’UE), ma credo che l’Italia in fondo abbia un ruolo marginale”. Che cosa vogliono capire gli americani da paesi come l’Italia? “Per i funzionari che lavorano nell’amministrazione Trump sulla Russia è però importante avere il quadro sulla posizione, in questo caso quella italiana, su questioni importanti come le sanzioni: anche se è improbabile che il governo Conte decida di porre da solo il veto per il rinnovo a dicembre, Washington vuol comunque monitorare la situazione per evitare di essere presa di sorpresa qualora si arrivasse a una decisione diversa da parte dell’Italia”.

Il Congresso e quasi tutta l’amministrazione favoriscono la linea dura nei confronti della Russia, ed è per questo che c’è attenzione nel cercare di capire quali sono le posizioni dei paesi che hanno voce in capitolo sull’estensione delle sanzioni, “e in più – aggiunge Alcaro – vogliono capire quali sono le strategie commerciali di questi paesi con Mosca. C’è già un dispositivo giuridico varato dal Congresso, il CAATSA, che dà al presidente la facoltà di minacciare compagnie o banche straniere che fanno affari in alcuni settori dell’economia russa (compreso le infrastrutture per le esportazioni di idrocarburi) con multe o altre restrizioni alle attività negli Stati Uniti di queste società. Quindi per Washington è fondamentale avere il quadro della situazione”.

In tutto questo, Trump dà sostegno pubblico al premier Giuseppe Conte, verso il quale non perde occasione di rinnovare la sua simpatia: perché?. “La coalizione di governo che c’è in Italia è guardata con grande interesse da chi, come l’ideologo ufficioso di Trump, Steve Bannon, è convinto che sia in atto un grande rivolgimento politico che vede dappertutto i partiti tradizionalisti fautori di una visione liberale del mondo arretrare, mentre crescono forze politiche portatrici di una nuova narrazione basata sull’enfasi della sovranità esclusiva, sulla chiusura dei confini, le limitazioni al commercio, e su una certa riluttanza a legarsi in strutture multilaterali e soprannazionali”.

“Le lodi di Trump a Conte servono anche come materia di politica interna: ci sono punti che li accomunano, soprattutto sull’immigrazione, e dallo Studio Ovale si loda l’esperimento politico italiano visto come appartenente a quella stessa onda di grande rivolta populista di cui Trump è considerato l’alfiere transnazionale”. Del resto Bannon è ormai di casa in Italia, vedendo nell’alleanza tra la Lega, portatrice di posizioni di destra, e il Movimento 5 Stelle, a cui lui ascrive visioni più di sinistra, “un laboratorio politico per il futuro”.

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