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“Difficile valutare se il vertice di ieri a Parigi avrà reali conseguenze sui negoziati in Libia e sul percorso di riconciliazione nazionale”, spiega a Formiche.net Arturo Varvelli, Senior Research Fellow dell’Ispi e Co-Head del Middle East and North Africa Centre del più importante think tank italiano.

Varvelli è stato curatore di un dossier articolato che riguarda la Libia, analizzata dall’Ispi sotto diverse sfaccettature anche tramite altri analisti di prestigiosi istituti, come l’Atlantic Council o la Brookings.

Il ricercatore italiano parla dell’incontro che il presidente francese Emmanuel Macron ha tenuto martedì 29 maggio a Parigi, a cui hanno preso parte i due principali leader libici, l’onusiano Fayez Serraj e la sua antitesi (o nemesi), il feldamaresciallo free-lance Khalifa Haftar.

“Mi pare che il percorso imposto da Macron costituisca una accelerazione voluta verso l’imposizione di elezioni, ma la mancata firma fa presupporre che tutto ritorni nelle mani dei libici una volta a casa, con una alta percentuale di possibilità che sia una accelerazione a vuoto, a marcia non innestata diciamo”.

Centrato il punto: il francese ha cercato di spingere le parti libiche presenti, insieme ai rappresentati di una ventina di paesi, a firmare un accordo messo nero su bianco che avrebbe portato a nuove elezioni e all’imbastitura di una struttura costituzionale. Ma né Serraj, né Haftar, e nemmeno il leader del parlamento auto-esiliatosi quattro anni fa Tobruk (nell’est libico feudo di Haftar), il pro-haftariano Agila Saleh, e il suo bilanciamento, Khaled al-Meshri, islamista che guida quello che giornalisticamente si definisce il “Senato libico”, il Consiglio di Stato, eletto a Tripoli, hanno messo la loro firma sul testo.

Quella uscita è stata una dichiarazione congiunta su intenti futuri, diversa effettivamente da un accordo definitivo.

“Il vertice doveva essere tenuto all’interno di un percorso politico e diplomatico condiviso sia nel paese sia tra gli attori internazionali più coinvolti: lo è stato solo in parte”, aggiunge Varvelli. “Chi detiene il reale potere in Libia, le milizie, è stato solo marginalmente coinvolto sinora”, spiega l’analista: molte delle milizie che controllano i consigli politici-militari in diverse città della Libia, a cominciare quelle di Misurata, non hanno partecipato infatti.

C’è un aspetto della proposta francese che poco piace alle ai gruppi politici armati dell’ovest (molti dei quali danno già un sostegno critico al progetto onusiano): Parigi intende trasformare la milizia di Haftar, che va sotto il nome di Libyan National Army (Lna), nell’esercito libico de facto: ma l’Lna è detestato dalle forze misuratine, per esempio, e i gruppi si sono pure combattuti.

Inoltre, aggiunge Varvelli, i protettori internazionali dei vari attori libici, faticano a concordare una agenda comune e a imporla ai libici stessi. Il dossier libico è intriso di figure esterne: dietro ad Haftar c’è l’Egitto, gli Emirati Arabi, in parte la Russia e in forma meno ufficiale il sostegno militare francese; di là, ci sono l’Onu e l’Italia in prima linea, un tempo c’erano gli americani (ora trattano la questione Libia solo dal punto di vista del contenimento terroristico) e poi i paesi della Fratellanza, Qatar e Turchia.

Macron anticipa i tempi e si crea spazi? “L’assenza americana dalla scena nord africana (o limitandola al contenimento militare delle formazioni jihadiste), una Gran Bretagna presa da Brexit e un’Italia affaccendata nella tortuosa formazione di un governo lasciano sostanzialmente campo libero ai francesi”.

“È piuttosto paradossale che sia stato Macron ieri a farsi ‘garante’ degli interessi collettivi, e di quelli italiani, apertamente citati. In realtà continua la collaborazione competitiva tra i due paesi. Ma da una parte abbiamo una Francia con una visione (la sostanziale equiparazione tra Haftar e Serraj, le elezioni come soluzione delle legittimità plurime libiche, eccetera) dall’altra abbiamo un’Italia che al momento può contare solamente sul lavoro dei nostri diplomatici, abbandonati a se stessi da un paese incapace di allontanare lo sguardo dal proprio ombelico, che blatera di sovranismo e uscite dall’euro”.

Al vertice parigino di ieri in rappresentanza italiana c’era solo l’ambasciatrice in Francia, Teresa Castaldo, a dispetto di un impegno diplomatico che aveva portato Roma a essere attore protagonista nell’accordo chiuso tra le fazioni libiche nel dicembre del 2015.

Che effetti avrà il vertice di Macron sulla Libia? Parla Varvelli

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