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Gli Stati Uniti per battere veramente la Cina e tenere a distanza la sua concorrenza velenosa e un po’ tossica, devono fare più massa critica possibile. Come? Stringendo accordi con i Paesi considerati strategici e non necessariamente dirimpettai. Di questo sono convinti gli economisti del Wilson Center, uno dei più importanti think tank al mondo.

“Le ultime esercitazioni militari della Cina vicino a Taiwan, durante le quali Pechino ha simulato un attacco su vasta scala, hanno dato agli Stati Uniti ancora più motivi per diversificare le proprie catene di approvvigionamento. Se oggi infatti venisse attivata una contingenza di Taiwan, gli Stati Uniti si troverebbero disperatamente a corto di beni vitali per la propria sicurezza economica, tra cui prodotti farmaceutici, minerali essenziali e semiconduttori. E mentre molte economie nel Sud-est asiatico forniscono già fonti di approvvigionamento alternative, l’incertezza nella regione significherebbe che gli Stati Uniti devono anche coltivare catene di approvvigionamento alternative”.

“Fortunatamente”, chiarisce il Wilson, “ci sono opportunità di diversificare e molto più vicino a casa. Ma trarne vantaggio effettivo richiede uno spostamento della politica statunitense verso un impegno più attivo con i partner strategici in tutte le Americhe. L’attuale strategia statunitense per ridurre i rischi (de-risking, ndr) del commercio è infatti semplicemente quella di spostare quanta più produzione possibile nel proprio Paese. Tuttavia, non basta. Gli Stati Uniti non hanno la manodopera necessaria per produrre tutto in casa. La carenza di competenze ha già ritardato l’apertura di impianti di fabbricazione di semiconduttori, come l’attività di Tsmc in Arizona. E anche dove le competenze non sono il problema, i lavoratori statunitensi sono troppo costosi per i lavori ad alta intensità di manodopera e a basso margine che vengono svolti in modo più efficiente all’estero”.

“In secondo luogo, anche se gli Usa avessero i lavoratori, non sempre hanno le materie prime. Poiché non hanno i propri giacimenti e importano almeno la metà della loro fornitura di 44 minerali e materie prime necessarie per la produzione. Tale elenco include la grafite, che ha ampie applicazioni nelle batterie, lubrificanti e, naturalmente, semiconduttori”. Insomma, “l’autosufficienza non è un’opzione”. Allora, cosa può fare?

“Una risposta è che può imparare dai suoi concorrenti. La Cina non è diventata un hub della produzione globale investendo esclusivamente nella capacità interna. Ha perseguito uno sforzo aggressivo e decennale per collaborare con Paesi di elevata importanza strategica, compresi quelli con ricche riserve minerarie critiche. Gli investimenti della Cina nei mercati dell’Asia, dell’Africa e, sempre più, dell’America Latina, l’hanno collocata nella posizione che vediamo oggi. C’è una lezione in questo per gli Stati Uniti. L’America deve ricordare che i suoi alleati e partner possono contribuire a garantire la sua sicurezza economica. Insomma, una strategia più proattiva e rivolta all’esterno”.

Da perseguire in questo modo. “Uno sono gli accordi commerciali. Gli Stati Uniti devono riavviare gli accordi per rassicurare i propri partner economici. Allo stesso tempo, gli sforzi americani dovrebbero essere coordinati con accordi commerciali per aiutare, all’inverso, i Paesi partner a rafforzare la propria capacità. La Cina ha investito centinaia di miliardi in infrastrutture che abilitano il commercio nei mercati emergenti e nei paesi in via di sviluppo, collegando i paesi a una rete di approvvigionamento incentrata sulla Cina e coltivando i mercati di esportazione. Gli Stati Uniti hanno già avviato sforzi simili nel corridoio africano di Lobito e nel corridoio economico di Luzon nelle Filippine . Ora questi sforzi dovrebbero essere ampliati, soprattutto nelle Americhe”.

Impara dal nemico. Come gli Usa possono battere la Cina secondo il Wilson Center

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