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Ieri il presidente siriano Bashar al-Assad si è aggiudicato una nuova vittoria nella sua offensiva militare volta a liberare, come ama spesso ripetere, “ogni centimetro quadrato della Siria”. Il suo esercito ha annunciato di aver liberato dalla presenza di miliziani dello Stato Islamico il campo profughi palestinese di Yarmouk presso Damasco, che era sotto assedio sin dalle prime battute della guerra civile, più i distretti adiacenti come Qadam, Tadamun e Hajar al-Aswad. Per la prima volta dal 2012, Damasco è ora una città sicura, mondata dalla minacciosa presenza dei ribelli che per sette anni qui hanno fatto il bello e il cattivo tempo nonostante il lungo tentativo dei governativi di riconquistare le aree sfuggite al suo controllo.

“Damasco e i suoi dintorni”, ha annunciato alla tv di Stato il portavoce dell’esercito generale Al Mayhoub, “sono completamente sicuri” dopo “una serie di intense e successive operazioni militari”, che hanno provocato “un alto numero di morti” tra le fila dello Stato Islamico. Il successo di questo fine settimana corona, ha concluso Al Mayhoub, “la completa pulizia di tutte le città nella Ghouta occidentale e orientale dal flagello del terrorismo estremista armato”.

Le operazioni per liberare le ultime ridotte dello Stato islamico nei pressi di Damasco erano cominciate il mese scorso, subito dopo il lungo e sanguinoso assedio della Ghouta orientale che era considerata la principale roccaforte dei jihadisti nella Siria meridionale. La brutalità con cui Assad e il suo alleato russo hanno condotto la campagna della Ghouta aveva attirato l’attenzione di tutta la comunità internazionale e spinto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a varare a febbraio all’unanimità una risoluzione per un cessate il fuoco. Risoluzione ignorata dai siriani e russi, che hanno proseguito e portato a compimento la loro offensiva incuranti delle centinaia di vittime civili causate dai sistematici bombardamenti dell’aviazione di Mosca.

La “liberazione” di Ghouta est giunse a compimento a seguito di un accordo tra russi e ribelli, che, ormai privi di ogni prospettiva di proseguire la resistenza, accettarono di evacuare la città e di trasferirsi con le famiglie al seguito nella provincia settentrionale di Idlib, enclave dove nel corso della guerra civile sono confluite decine di migliaia di combattenti e relativi familiari, attirati dall’assenza delle truppe di Assad.

La stessa dinamica si è imposta anche nel caso di Yarmouk, dove a combattere a fianco dei lealisti contro un migliaio circa di combattenti dello Stato Islamico c’erano ufficiali russi e milizie palestinesi alleate di Assad. Sono state settimane di combattimenti intensissimi, che secondo l’Osservatorio per i Diritti Umani hanno causato almeno 250 morti tra le fila dei governativi e un numero analogo tra quelle dei miliziani. Dopo aver continuato a martellare il campo per settimane, rendendolo un cumulo di macerie e costringendo anche gli ultimi abitanti rimasti a cercare riparo altrove, nel fine settimana Damasco ha imposto un cessate il fuoco, che ha consentito ai russi di negoziare coi ribelli un accordo di evacuazione.

Tra domenica e lunedì, grazie al silenzio delle armi, è cominciato l’esodo dei miliziani e delle loro famiglie nonché delle poche migliaia di civili palestinesi e siriani che ancora risiedevano nel campo, in particolare donne, bambini e anziani. Trentadue bus hanno trasportato 1.600 jihadisti verso la regione di Badiya nella Siria sud-orientale, dove si registra ancora la presenza di residue formazioni dello Stato islamico. La coalizione Usa, che staziona da quelle parti, ha reso noto di “essere al corrente dell’evacuazione” e dell’arrivo dei combattenti a Badiyia. Altri militanti hanno invece chiesto di essere trasferiti a Idlib. Analoghi accordi sono stati raggiunti negli altri distretti di Damasco e hanno condotto all’evacuazione di ulteriori combattenti.

Assad può dunque cantare di nuovo vittoria, visto che oramai la presenza di ribelli nella parte meridionale del Paese è stata ridotta al lumicino. Le opposizioni controllano ormai solo due ampie aree nel nordovest e nel sudovest vicino ai confini con la Turchia e la Giordania. Nel resto del Paese spadroneggiano invece i governativi e i loro alleati di Russia, Iran, ed Hezbollah, anche se ancora ampie zone del paese sono sotto il controllo dei curdi dell’YPG alleati degli americani da un lato – che hanno almeno 2mila soldati in Siria – e dell’esercito turco dall’altro, calato in Siria a gennaio sotto le insegne dell’operazione “Ramoscello d’ulivo”.

Quella di ieri è senz’altro un successo di propaganda per Bashar al-Assad, e rappresenta un ulteriore tassello nella strategia russa di accelerare le operazioni militari per togliere di mezzo il maggior numero di ostacoli ad un accordo di pacificazione che consenta di mettere la parola fine a sette anni di guerra civile. Un accordo che tuttavia è ben lungi dall’essere prossimo, e che è complicato da una situazione internazionale sin troppo intricata.

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