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Il summit è innanzitutto un’opportunità per resettare le relazioni bilaterali dopo un periodo molto difficile in cui i rapporti tra Pechino e Nuova Dehli erano scesi ai minimi dopo il faccia a faccia prolungato lungo la catena Himalayana, al confine con il Buthan, che lo scorso anno aveva tenuto impegnati per diversi mesi i due rispettivi eserciti, protagonisti anche di scontri a fuoco.

Per Modi, la stabilizzazione delle relazioni con Pechino è motivata da diversi fattori, sia interni sia esterni. A livello domestico, ci sono le elezioni del prossimo anno. Nonostante l’attuale primo ministro goda di enorme popolarità, uno scontro militare con la Cina alla vigilia di un fondamentale appuntamento elettorale è l’ultima cosa da augurarsi in un Paese dalla fragile composizione etnica e religiosa.

Sul piano internazionale invece, Nuova Delhi si trova attualmente di fronte a un bivio. Se da una parte c’è chi spinge per una relazione più stretta con Washington, sul modello di Corea del Sud e Giappone, la storica politica di Paese “non allineato” e la cultura strategica delle sue élite impediscono all’India di forgiare una vera e propria alleanza con gli Usa. Al contempo però, incapace di replicare il modello di industrializzazione cinese per rafforzare la sua posizione nella regione, l’India corre seriamente il rischio di isolarsi e di condannarsi a vivere nell’ombra della Repubblica Popolare. Inoltre, “la più grande democrazia del mondo” teme che Pechino possa avvicinarsi, a sua spese, sia a Washington, in caso di lieto fine della crisi coreana, sia alla Russia, ora che Mosca ha rotto i legami con l’Occidente.

Per Xi Jinping invece, l’incontro avviene solo pochi mesi dopo la rimozione del limite costituzionale dei due mandati presidenziali, che ha aperto la porta a una presidenza a vita e ha rafforzato la sua posizione, dandogli la possibilità di perseguire una politica estera più intraprendente. Presentando l’incontro alla stampa, il portavoce del Ministero degli esteri cinese, Lu Kang, ha sottolineato che “i leader dei due più grandi Paesi in via di sviluppo, sentono che i due Paesi hanno bisogno di comunicare in maniera approfondita rispetto a certe questioni strategiche di lungo termine nell’ambito della relazione bilaterale e degli affari internazionali”.

Non è una coincidenza, che Lu abbia parlato di “cambiamenti senza precedenti” di fronte ai quali avverrà l’incontro. Se la guerra commerciale dichiarata da Washington spinge Pechino a rafforzare le relazioni economiche e commerciali con i vicini regionali, Nuova Delhi, pur corteggiata dalla strategia del “free and open Indo-Pacific”, non può dirsi totalmente al riparo dal protezionismo aggressivo statunitense e teme l’imprevedibilità della politica estera trumpiana, e vorrebbe per questo vorrebbe ridurre la sua dipendenza, soprattutto economica, dagli Usa. È probabile quindi che al centro del meeting ci sia soprattutto il miglioramento delle relazioni economiche bilaterali tra le due potenze, molto deboli allo stato attuale.

Il ministro degli esteri cinese, Wang Yi, a Marzo aveva detto che i leader dei due Paesi “hanno sviluppato una comune visione strategica del future delle nostre relazioni: il dragone cinese e l’elefante indiano non devono combattersi, ma danzare l’uno con l’altro”. Tuttavia, sono molti gli ostacoli politico/strategici che impediscono un eventuale riavvicinamento tra i due Paesi. Oltre agli storici punti dolenti delle relazioni bilaterali – l’ospitalità che Nuova Delhi garantisce al Dalai Lama, il leader spirituale tibetano che Pechino considera un pericoloso traditore separatista, e l’alleanza tra Cina e Pakistan, l’arci-rivale dell’India, c’è anche il rinnovato attivismo cinese nella regione a provocare alzate di sopracciglia nella penisola indiana. Le nuove vie della seta, simbolo della geopolitica di Xi Jinping, hanno visto Pechino espandere gradualmente la sua influenza in quello che Nuova Delhi percepisce come il suo “cortile di casa”. Il controllo di un nuovo porto in Sri Lanka, la conclusione di un pionieristico accordo commerciale con il Nepal e le sempre più numerose operazioni anti-pirateria nell’Oceano indiano occidentale sono tra le ultime mosse cinesi che più hanno indispettito la controparte indiana.

“Cina e India dovranno lavorare insieme per rendere il 21esimo secolo il secolo dell’Asia”, ha detto alla Cnn Das Napat, il direttore del Dipartimento di geopolitica all’Università di Manipal in India. L’incontro di Wuhan non è probabilmente neanche il principio di una così intensa collaborazione tra quelli che restano due rivali strategici, ma certo è che la velocità a cui cambia la politica internazionale al tempo di Trump suggerisce di osservare con molta attenzione gli sviluppi nella relazione tra i due giganti asiatici.

 

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