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Dietro le dichiarazioni ufficiali del Consiglio europeo si cela una domanda cruciale: l’Unione è pronta ad assumere un ruolo realmente autonomo sul piano geopolitico? La crisi siriana, così come la gestione degli equilibri con la Turchia e la continuazione dello scontro con la Russia, nonché la mancanza di risoluzione dell’instabilità indo-mediterranea, sono soltanto alcuni dei dossier interessati dalla cronaca in cui si mette alla prova la debolezza strutturale dell’Ue: la difficoltà a combinare ambizione strategica e coesione interna.

La prima riunione ordinaria di massimo livello del secondo mandato di Ursula von der Leyen ha chiara la posta in gioco. Al capitolo terzo della dichiarazione congiunta si discute infatti del ruolo dell’Unione Europea nel mondo. Ma si dedica appena una riga per comunicare che durante la riunione si è parlato del “global engagement” dell’Ue e delle sue priorità nel contesto delle dinamiche geopolitiche correnti.

La volontà di posizionarsi come attore globale passa dal comportamento e dall’approccio con cui l’Unione navigherà la policrisi prodotta dal sovrapporsi di più dossier alle sue porte. Sovrapposizione evidente in casi come lo spostamento delle risorse (aeree e navali) russe da Tartus a Bengasi. Secondo alcune informazioni (attualmente non ufficiali) Mosca, dopo aver a lungo puntellato il regime sanguinoso di Bashar al Assad, starebbe rimodulando la sua presenza nel Mediterraneo spostandosi dal Levante — dove è stata sconfitta dalla vittoria dei rivoluzionari anti-assadisti — al Nordafrica.

Questo significa che i russi potrebbero presto trovare posto in una base al centro del Mediterraneo, protetti dai miliziani del signore della guerra Khalifa Haftar — le cui ambizioni di conquista del Paese contro il governo onusiano sostenuto dall’Ue erano già state sostenute in passato dal Cremlino.

Mentre la dinamica non è sorprendente, perché i russi stanno da tempo cercando di convincere Haftar per ottenere tale concessione, ciò che preoccupa è la rapidità di adattamento di Mosca — che potrebbe anche mantenere parte del presidio siriano, se la Turchia troverà una quadra con i rivoluzionari (su cui ha ampia influenza). Se la capacità di adattamento russo è qualcosa su cui l’Europa deve calibrarsi unita, altrettanto lo è l’opportunismo strategico di Ankara.

Recep Tayyp Erdogan ha nei giorni scorsi incontrato von der Leyen, riaffermando il ruolo centrale che la Turchia si trova ad avere nei calcoli strategici dell’Ue. Ankara dà le carte in Siria, controlla la porzione orientale libica, ha mediato una distensione nel Corno d’Africa, ha sviluppato un consensus in Africa, è molto presente nei Balcani, controlla il Mar Nero, si propone come attore per dare consistenza all’idea (anche europea) di mobilitare forze di peacekeeping in Ucraina (in una futura eventuale negoziazione, che potrebbe anche arrivare tra non troppo tempo).

Non a caso, la Commissione ha annunciato un pacchetto da 1 miliardo di euro da condividere con la Turchia: serviranno per sostenere la gestione della migrazione e i rimpatri volontari dei rifugiati siriani, secondo una collaborazione già attiva, che dà ad Ankara un’ulteriore leva con Bruxelles (e non una leva di poco valore, se si considera il peso che la questione migratoria ha nella continua ricerca di consenso dei vari partiti europei). Erdogan ha ribadito che l’adesione all’Ue rimane un “obiettivo strategico” per lui e il suo Paese, ma ha chiesto di rimuovere le restrizioni nei rapporti bilaterali, aggiornare l’unione doganale e accelerare la liberalizzazione dei visti.

Tra gli interessi divergenti dei suoi Stati membri, orientati anche a bilanciare il proprio approccio multilaterale con gli interessi economici e diplomatici diretti, l’Ue, si trova dunque chiamata a trasformare gli impegni indicati dal Consiglio in una strategia coordinata ed efficace. La posizione ufficialmente assunta dal blocco sulla Siria, dove è stata posta come condizione per il nuovo governo ribelle l’allontanamento delle basi russe, rappresenta un segnale di fermezza. Ma la sfida sarà garantire che i 27 Stati membri la seguano con coerenza, mentre scatti in avanti per ricostruzione relazioni di interesse bilaterale (molto legate alla delicata questione migratoria) si stanno già vedendo.

Le decisioni prese oggi dal Consiglio europeo, pur indicando una visione strategica, saranno dunque tradotte in azioni concrete? Da qui passa l’ambizione di affermarsi come attore globale in un mondo sempre più multipolare. Se l’Europa non riuscirà a coordinare le sue azioni e a rispondere in modo efficace alle sfide che la circondano, rischia di perdere ulteriormente rilevanza in uno scenario internazionale dominato da potenze più assertive come Russia, Cina e persino Turchia. Al contrario, se saprà sfruttare questa occasione per rafforzare la propria autonomia strategica, potrebbe non solo consolidare il proprio ruolo, ma anche dimostrare che l’unità europea è una forza in grado di modellare i global affairs. E sarà un valore aggiunto nel rapporto transatlantico che si costruirà con il ritorno di Donald Trump.

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