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Le urne si sono appena chiuse. Gli exit poll così come le proiezioni forniranno numeri che vanno presi con le molle. Fintanto che il ministero degli Interni non rilascerà i dati ufficiali circa la ripartizione dei seggi, ogni speculazione lascerà il tempo che trova. Un dato però appare fuori discussione. Il voto del 4 marzo 2018 consegna al Paese un vincitore politico (al di là, lo ripetiamo, dei seggi effettivamente conquistati). Si tratta di Luigi Di Maio. Quando cinque anni fa Beppe Grillo guidò il Movimento portandolo in Parlamento con poco più del 25% scendendo l’anno dopo al 21% delle europee, il Paese usciva dalla crisi che aveva visto la defenestrazione di Silvio Berlusconi e la successiva “cura” di Mario Monti. La crisi economica era stata un driver straordinario di malcontento e protesta. Lo stesso calo del consenso per le elezioni di Bruxelles sembrava indicare una tendenza al ridimensionamento dei 5 stelle. I governi di Renzi e, soprattutto, di Gentiloni hanno riconsegnato un Paese in condizioni migliori del 2013, almeno stando alle statistiche (unanimi però).

La leadership di Di Maio ha determinato un sostanziale cambio di paradigma per il Movimento che è passato dal Vaffa alla sfida per il governo. L’esito non era scontato. Affatto. Il giovane capo si è assunto l’onore e l’onere di gestire in prima persona le candidature e la guida effettiva della campagna. Non tutti nel Movimento lo amano e probabilmente emergeranno anche lì i “gufi”. Il punto è che Di Maio si sveglierà dalla lunga notte elettorale vincitore, almeno morale. I consensi saranno certamente maggiori di quelli del 2013 e probabilmente segneranno un vero e proprio record raggiungendo (se non superando) quota 30%. L’alchimia dei numeri in Parlamento si potrà vedere solo nei prossimi giorni ma intanto ogni forza politica, ogni giornale italiano, ogni osservatore straniero, deve iniziare – se non lo ha fatto prima – a considerare M5s quale un legittimo protagonista della vita politica del Paese. Non dei paria, frutto di un errore di cittadini esasperati.

Se quasi un italiano su tre vota Di Maio siamo in presenza di un partito di massa (definizione che non piacerà a Grillo, ma tant’è) meritevole del massimo rispetto. Ovviamente, questa medaglia ha un’altra faccia. Per il leader di Pomigliano si apre una fase nuova e delicatissima. Dovrà scegliere, prima di quanto possa immaginare lui stesso, fra l’opzione Steve Bannon e l’opzione Macron. Linea massimalista o linea riformista? Davvero troppo presto per disegnare scenari. Per ora, Di Maio può gustarsi il successo di una campagna condotta senza errori. A breve però toccherà pensare alle prossime mosse.

I risultati elettorali 2018. Chi ha vinto? Certamente Di Maio può cantare vittoria

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