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La Turchia a caccia di nuovi alleati? “Non credo – dice a Formiche.net Stefano Silvestri ex presidente dell’Istituto Affari Internazionali dal 2001 al 2013, ed editorialista de Il Sole 24 Ore – ma all’orizzonte c’è il rischio di un grosso indebolimento dello schieramento militare e della credibilità dell’alleanza con Washington in quel dato quadrante”.

Dopo l’escalation militare sul gas nel Mediterraneo orientale, che ha visto Ankara minacciare la nave Saipem dell’Eni e quella americana della Exxon, da Mosca il ministro degli Esteri turco Cavusoglu ha detto che le relazioni fra la Turchia e gli Stati Uniti sono vicine “al punto di rottura”.

Quale l’impatto di queste parole sulla Nato?

Mi auguro che in queste parole ci sia un elemento di teatralità dettato dal luogo in cui sono state pronunciate. Come dichiarazione è particolarmente fastidiosa perché fatta da Mosca. La Turchia può avere cattivi rapporti con gli Usa senza lasciare la Nato, ciò naturalmente può creare stress, perché la Nato per la Turchia è grossomodo gli Usa.

Cosa significa?

Che sono gli Usa ad avere basi e uomini in Turchia. Da sempre il rapporto fondamentale nel Mediterraneo orientale era stato stabilito fra Washington e Ankara: per cui il rischio è quello di vedere un forte indebolimento dello schieramento militare e della credibilità di quell’alleanza in quel dato quadrante.

Ankara punta a cambiare alleato?

Lo dubito fortemente, anche perché tradizionalmente c’è una rivalità tra Russia e Turchia. Può essere comunque che in questo momento vedano le cose dallo stesso punto di vista, ma fino a un certo punto.

Ha inoltre sottolineato come gli Usa abbiano “recentemente fornito armi ai curdi siriani”: oltre la Siria però cosa c’è?

In Siria la Turchia è in disaccorso con gli Usa, ma non è neanche d’accordo con la Russia, per cui bisognerà attendere cosa succede. Certamente siamo in presenza di una situazione delicata che richiederà molta attenzione da parte degli Usa, ma non so quante energie Trump vi vorrà dedicare. Senza contare che Erdogan non è molto disponibile anche per via della questione legata al predicatore Gulen.

Le tensioni nel Mediterraneo orientale sul gas come si intrecciano a questa contingenza?

Vedo varie problematiche connesse. La Turchia è un territorio strategico per il passaggio dei gasdotti, in particolare per quelli che dovrebbero “saltare” la Russia come il Tap, anche se non è ancora chiaro quanti di questi nuovi gasdotti siano o meno apprezzati dall’Ue, che è stata molto titubante nell’accettare il progetto Tap. Poi però ha detto di sì, ma c’era una indecisione di fondo: per cui se Ankara dovesse davvero entrare in attrito, tanto con gli Usa quanto con Bruxelles, ciò potrebbe danneggiare una ipotesi di maggiore indipendenza dalla Russia per l’approvigionamento energetico.

Sullo sfondo i giacimenti ciprioti con i casi Eni e Saipem: come uscirne?

Lì la Turchia sta intervenendo in modo fastidioso per tutti: gli italiani hanno deciso, almeno per il momento, di soprassedere. Gli americani sono invece meno concilianti. Ma è chiaro che la Turchia non può pretendere di controllare militarmente questa zona di mare, come se fosse di sua proprietà. È questo un elemento che può portare a forti polemiche: da un lato c’è la mancata soluzione al problema di Cipro, dall’altro c’è Israele che su quel gas conta parecchio, senza dimenticare la Siria.

Cosa rischia Ankara?

Di entrare in fortissimo contrasto non solo con molti dei Paesi rivieraschi, ma anche con quelli delle società che hanno ottenuto il diritto ad effettuare le esplorazioni sottomarine.

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