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Chiudere l’Ilva. Quando dalla fantasia si passa alla realtà, quella più oscura. Succede con il governo gialloverde targato Lega e Cinque Stelle, nelle cui intenzioni c’è chiaramente lo smantellamento del sito di Taranto, la più grande acciaieria d’Europa nella produzione di laminati. Per farne cosa, non si sa. Si parla spesso in ambienti pentastellati di riconversione dell’impianto, senza ulteriori specifiche. E poco importa se in ballo ci sono 14mila posti di lavoro e un punto abbondante di Pil. Senza considerare che un eventuale stop allo stabilimento farebbe scappare l’unico investitore individuato dal governo, il gruppo franco-indiano Arcelor Mittal. E poi?

Questa mattina, in un post pubblicato sul blog a Cinque Stelle è arrivata l’ufficialità a quanto si temeva, e cioè che se davvero governo Lega-Cinque Stelle sarà, l’Ilva sarà con ogni probabilità fermata, così come la Tav, altra infrastruttura a dir poco strategica.  “Nel contratto c’è scritto chiaramente che si lavorerà per la chiusura dell’Ilva, per l’introduzione di un modello di gestione dei rifiuti che cancellerà lo Sblocca Italia, che finanzieremo una rete di colonnine elettriche per le ricariche delle auto, che nelle nostre intenzioni darà impulso a un mercato che dovrà soppiantare il gasolio, e che ci sarà una premialità fiscale per le produzioni meno impattanti”, si legge nel post, arrivato a stretto giro di posta dall’ultimo incidente, mortale, che ha coinvolto un operario Ilva, tre giorni fa.

Perché tutto questo? Semplice, “il denaro pubblico va investito sulle vere priorità del Paese. Non sulle opere inutili e dannose. Questa è stata sempre dritta la barra del Movimento 5 Stelle e continua ad esserlo. E chi vuole leggere altro nel contratto sbaglia”, fanno sapere i grillini. Un de profundis, non ancora recitato, ma poco ci manca, che rischia persino di fermare la guerra polititica (e giudiziaria) in atto su Taranto (qui l’ultimo speciale di Formiche.net dedicato alla tensione tra governo e regione Puglia sull’Ilva), ma tant’è.

Il chiarimento dei pentastellati sul futuro di Taranto, ha trovato subito il fuoco di sbarramento di Marco Bentivogli, leader dei metalmeccanici Cisl e tra i più strenui difensori dell’Ilva, tanto da andare allo scontro (qui il focus) con lo stesso ministro Carlo Calenda, forse l’esponente di governo più in sintonia con il sindacato guidato da Bentivogli. “La precisazione appena arrivata dal M5S sul contratto di governo chiarisce definitivamente la loro volontà di non proseguire opera di ambientalizzazione ma di chiudere la fabbrica e lasciare a casa 20mila lavoratori senza alcuna garanzia”, ha scritto Bentivogli.

“Le elezioni si sono svolte ed è giusto che chi governa si prenda le responsabilità delle sue scelte. Ma la chiusura è dannosa per ambiente, (è appena all’inizio la  copertura dei parchi e rischia di essere una Bagnoli2), l’occupazione e l’economia manifatturiera italiana. Sia chiaro non staremo con le mani in mano, se si vuole lasciare i lavoratori a casa e la città vittima di una scelta ambientale dannosa, non staremo fermi e daremo vita alla mobilitazione totale e sia altrettanto chiaro che “non cederemo mai alle intimidazioni dello squadrismo che in queste ore a Taranto impedisce la piena agibilità democratica”. Un riferimento esplicito al clima che si respira intorno all’Ilva, con il governatore Michele Emiliano accusato da Bentivogli (anche su Twitter) di fomentare gli animi sulla vicenda dello stabilimento.

Intanto nel centrodestra risuona la reazione di Giovanni Toti, presidente della regione Liguria e consigliere politico di Silvio Berlusconi. “Continuerò a ripeterlo – dice – e da presidente della Liguria mi batterò in ogni modo perché Ilva resti un elemento centrale dello sviluppo di Genova, della regione e del Paese intero e perché le grandi opere, dal Terzo Valico alla Torino-Lione, vengano realizzate al più presto per garantire competitività al sistema portuale della Liguria, snodo centrale della crescita dell’intero nord ovest”. “Chiedo all’amico Salvini, oggi in procinto di varare un governo con il Movimento 5 Stelle, di difendere quel modello di crescita e di sviluppo che abbiamo immaginato e costruito insieme in molte campagne elettorali, a partire proprio dalla Liguria. Bloccare grandi opere e chiudere Ilva – conclude – significa condannare l’Italia ad un futuro di decrescita (non felice) e marginalità in Europa”.

ilva di maio istat

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