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L’ufficio stampa della primo ministro britannico Theresa May ha reso ufficiale ciò che da tempo le migliori agenzie di pubbliche relazioni istituzionali di Londra stavano organizzando: dal 7 al 9 marzo l’erede al trono saudita Mohammed bin Salman sarà nella capitale inglese. Interessante il commento nello statement uscito da Downing Street: “La visita inaugurerà una nuova era nelle relazioni bilaterali incentrate su una partnership che offre ampi benefici sia per il Regno Unito che per il Regno dell’Arabia Saudita”. La bilateralità dei rapporti di Londra è un affare cruciale nell’era della Brexit-da-gestire: fuori dall’Ue serve per gli inglesi costruirsi un ventaglio di relazioni stabili – “franche e costruttive” come le ha definite May.

Bin Salman è un’occasione enorme: è riduttivo infatti definire il saudita come “l’erede al trono”, perché MbS – l’acronimo con cui lo definiscono i circoli diplomatici, usato dai media anglosassoni – è il fautore di un piano di ammodernamento enorme dell’Arabia Saudita, che passa tanto dal repulisti interno nei gangli più incrostati da anni di status quo del potere, tanto quanto dalla costruzione di relazioni internazionali forti.

A MbS, insomma, serve attorniarsi di persone fidate a Riad (anche con quelle “shock therapy“, come le ha chiamate lui, con cui sostituisce i fulcri del poterne interno), tanto quanto ricevere accreditamenti internazionali, soprattutto dopo che le prime mosse nel mondo degli affari esteri non sono state proprio felicissime. Per esempio, la guerra in Yemen: bin Salman è promotore di una politica assertiva regionale, potremmo dire interventista, che piace molto ai giovani sauditi stanchi dell’andamento soporifero del Regno. L’andatura compassata ha permesso il sedimentarsi degli interessi, amicizie, delle alleanze tra potenti attorno al trono; che tradotto in termini italiani per gli under-30 di Riad (che secondo un sondaggio Ipsos, adesso, con MbS, sono per il 74 per cento “sicuri del futuro”) significa: rottamazione, largo ai giovani, ossia lotta alla corruzione, al clientilismo, eccetera; questioni importanti in un paese che è il Bengodi solo per un’ancora ampia Kasta ma che ha, secondo i dati della Banca Mondiale, un reddito pro-capite medio più basso di Stati Unti e Regno Unito, e di molti altri paesi del Golfo (in un pezzo di commento il Washington Post scrive che MbS dovrebbe proprio prendere spunto da come la regina Elisabetta raziona i beni tra i ranghi minori della famiglia).

Tornando alla problematica campagna yemenita: nonostante abbia visto MbS proporsi come polo d’attrazione per una serie di paesi arabi sunniti, costruendo il nocciolo di quella che nel suo pensiero dovrebbe essere una “Nato Araba” da contrapporre all’espansività iraniana, non sta andando bene. Da quasi tre anni la situazione è in stallo: i ribelli Houthi – che hanno link programmatici con l’Iran, e anche per questo sono state un’ottima piattaforma di lancio per la policy regionali di MbS – restano sulle proprie posizioni, il fronte arretra e avanza senza sconvolgimenti. Oppure, ancora: l’isolamento del Qatar, formalmente accusato di finanziare il radicalismo terrorista, effettivamente punito per un legame inscindibile (perché basato sugli interessi sul più grande giacimento di gas naturale del mondo) con l’Iran, non ha portato grossi frutti. Doha continua a essere considerato un interlocutore potabile in giro per il mondo (l’emiro sarà a Washington nei giorni in cui MbS andrà nella City); e forse a Riad c’è anche chi pensa che quel modello entrante proposto dai qatarini possa essere l’esempio da seguire.

In generale, il primo approccio agli affari internazionali di MbS – sostanzialmente incentrato in una serie di iniziative sul solco della dottrina anti-Iran – non ha coinvolto troppo i principali attori in giro per il mondo, anzi, è sembrato più che altro un imbarazzo per chi doveva gestire con l’Arabia Saudita partnership di interessi attuali e future (per esempio, Londra vorrebbe essere la piazza di quotazione per la privatizzazione del colosso petrolifero Saudi Aramco, e di sicuro di questo discuterà la May, che però dovrà abbinare gli interessi con reazioni come le manifestazioni fuori alla sua residenza poche ore dopo l’annuncio della visita di MbS).

L’Ue, nei mesi scorsi, ha chiesto misura a Riad, la Francia ha addirittura visto il suo presidente impegnato di persona per sbloccare una crisi creata con il Libano sempre sotto la stessa ottica anti-iraniana, Londra (disattenta perché focalizzata sull’enorme bega interna) ha già chiesto compostezza; in mezzo, le critiche aspre per le morti di civili e la fame in Yemen causati anche (soprattutto?) dall’intervento spregiudicato saudita (compiuto pure grazie ai 4,7 milioni di sterline di armi britanniche vendute a Riad; polo attorno a cui si dipanano le proteste contro MbS degli attivisti inglesi) e tutte le contraddizioni sui diritti umani in Arabia Saudita.

Pure gli Stati Uniti seguono a corrente alternata, e divisi: ci sono i falchi che sposano appieno la nuova linea saudita perché la sovrappongono all’interesse anti-iraniano chiesto anche da Israele, ci sono i diplomatici che sudano per evitare altri – potenzialmente enormi – bubboni in una regione instabile. Pure per questo la visita a Londra sarà seguita da un’altra importante tappa: MbS sarà a Washington pochi giorni dopo, e dovrà anche cercare nuovi accreditamenti nel suo secondo viaggio americano (il primo da quando è stato insignito dell’eredità diretta).

L’amministrazione Trump ha riallacciato i rapporti con i sauditi incrinati dai predecessori che si erano spesi molto per arrivare alla chiusura del deal atomico con l’Iran – che Riad considera un favore al nemico esistenziale che cova a Teheran progetti bellicosi e espansionistici – ma in questo momento l’uomo che, per contatti personali anche precedenti e per affinità (diciamo così) generazionali, ha favorito che i rapporti si riallacciassero, vive una fase di declino. Il potente genero-in-chief, Jared Kushner, soffre infatti degli strascichi dell’inchiesta sulla Russia (al punto che la sua security clearence è traballante) e non gode più della spinta propulsiva che apriva tutte le porte a lui e alle sue istanze.

MbS, secondo uno schedule di viaggio ottenuto da Formiche.net, toccherà anche altre tappe americane (New York, Boston, San Francisco, Seattle), sponsorizzando investimenti nell’ambito della sua Vision 2030, il piano programmatico con cui intende differenziare l’Arabia Saudita dai profitti del petrolio. E questo è quello che più piace all’attuale Casa Bianca, un’iniezione di dollari sull’economia, sull’industria americana, presupposto trumpiano per costruire rapporti di politica internazionale stabili.

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