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Intervistato dal Giornale, questa mattina Viktor Orban, il primo ministro ungherese, ha disegnato a chiare lettere quali sono, dalla sua prospettiva, gli equilibri che dovranno segnare l’Europa che uscirà dal voto dell’8 e 9 giugno. Come era immaginabile, il suo auspicio è che la prossima governance di Bruxelles sia connotata a destra. E, tra le altre cose, auspica una convergenza tra il premier Giorgia Meloni e la leader di Rassemblement National, Marine Le Pen. Un asse che, tuttavia, non sarà facilmente attuabile per “un fattore politico e per uno umano”. Lo dice a Formiche.net, Marco Tarchi, politologo e docente all’Università degli Studi di Firenze Cesare Alfieri.

Nella sua intervista di oggi al Giornale, il presidente ungherese Orban sostiene che il futuro dell’Europa è nelle mani di due donne: Giorgia Meloni e Marine Le Pen. L’esortazione che fa è quella di trovare un accordo tra le due. La vede così anche lei?

Allo stato attuale delle cose, è una visione eccessivamente ottimistica nei confronti di entrambi. Certo, se Marine Le Pen conquistasse la presidenza della Francia, sarebbe così, ma le elezioni ci saranno fra tre anni e la prospettiva è tutt’altro che certa, anche se non è più impossibile. Quanto all’accordo fra le due, urta contro un fattore politico e uno umano. Sotto il primo aspetto, nel gruppo dei conservatori guidati da Meloni ci sarebbero forti resistenze ad una convergenza con i nazionalpopulisti di Identità e Democrazia – anche dopo l’autolesionistica cacciata dei tedeschi dell’AfD dal gruppo lepenista-salviniano. Sul secondo piano, è inutile nascondersi che Meloni non gradisce affatto che la sua immagine di primadonna delle destre europee le sia contesa da Le Pen. Sono lontani i tempi in cui ci teneva a farsi dei selfie con la collega transalpina, allora ben più rilevante di lei. Adesso Marine è una rivale, molto più che una potenziale alleata. Ed è per questo che ha stretto i rapporti con Zemmour e Marion Maréchal, che al Rassemblement national creano ostacoli.

Il centrodestra italiano è reduce dalle schermaglie sul Presidente della Repubblica dopo le dichiarazioni di Borghi, poi chiarite da Salvini. Come si presenta il Carroccio a questa competizione elettorale?

Con una ancor più marcata divaricazione tra l’anima “storica” federalista degli Zaia e dei Fedriga e quella nazionalpopulista di Salvini. Arruolare Vannacci è stata una mossa che ha reso questa distinzione ancor più palese, una scommessa interessante, il cui esito potrebbe segnare, in un senso o nell’altro, anche i futuri rapporti con Fratelli d’Italia, perché non è improbabile che, alla lunga, il distacco della Meloni capo di governo da quella dai toni infuocati degli anni di opposizione possa deludere una parte degli elettori che anche il 9 giugno voteranno per FdI, riaprendo spazi di concorrenza a destra.

Dopo le dichiarazioni di Stoltenberg sulla possibilità per l’Ucraina di adoperare le armi contro la Russia a scopo offensivo, si è aperto un grande dibattito. In salsa italiana, hanno fatto discutere le dichiarazioni del candidato del Pd, Marco Tarquinio. Che posta in gioco c’è per il futuro della Nato in queste europee?

Nessuna, perché la Nato condiziona, non è condizionata. Impone le sue decisioni, non le subisce. Ed è il ventriloquio degli Stati Uniti, più che mai stella polare della politica italiana ed europea, venerata a destra, al centro e a sinistra. Le rivendicazioni di autonomia dell’Europa sono voci nel deserto.

Al di là di quello che ci riserveranno le urne, come pensa che potrà incidere un eventuale ritorno di Donald Trump come inquilino della Casa Bianca nel contesto europeo?

Il personaggio, come sappiamo, è imprevedibile. Può dichiararsi isolazionista e poi decidere atti come l’uccisione del generale Soleimani in Iran. Può minacciare di tagliare il sostegno economico alla Nato e fare il contrario. Certamente non ha per l’Europa alcuna predilezione, ma nel fondo questo si può dire anche di Biden. Gli Stati Uniti guardano soltanto ai propri interessi, ed è in funzione di questi che i loro presidenti si comportano con gli alleati. E questo farà l’eventuale nuova presidenza Trump, anche nel caso della guerra russo-ucraina. Tutt’al più, si può ipotizzare che stringerà i cordoni della borsa, lasciando all’Unione Europea i costi del suo sostegno all’Ucraina. E questo potrebbe far riflettere qualche capo di governo che oggi getta benzina sul fuoco del conflitto.

Realisticamente, secondo lei è immaginabile – come è nei piani di Meloni – arrivare a una maggioranza europea che escluda il blocco socialista e che quindi in qualche misura integri anche il Rn di Le Pen, come auspicato da Orban?

No. E non è un piano di Meloni, ma solo una dichiarazione di campagna elettorale. Lei per prima sa che i numeri per raggiungere una maggioranza di centrodestra non ci saranno. E che, se teoricamente ci fossero, una notevole componente del Ppe si opporrebbe a una simile prospettiva. Quanto ai rapporti fra Meloni e Le Pen, sono anche umanamente difficili. Lo scontro di ambizioni e personalità, al momento, inibisce la prospettiva agitata da Orban.

In Ue non ci sarà una maggioranza (solo) di destra. Meloni-Le Pen, asse difficile. Parla Tarchi

Nel gruppo dei conservatori guidati da Meloni ci sarebbero forti resistenze a una convergenza con i nazionalpopulisti di Identità e Democrazia. I rapporti fra la premier e Le Pen, sono anche umanamente difficili. Lo scontro di ambizioni e personalità, al momento, inibisce la prospettiva agitata da Orban. La variabile Trump non inciderà troppo sugli equilibri europei. Conversazione con il politologo, Marco Tarchi

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