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Già a prima vista, nessun parallelismo può essere credibile tra l’attuale fase della vita politica nazionale e le fasi vissute e segnate dalla leadership di Aldo Moro. La storia non si ripete, non è una rincorsa di uguali. Ma spesso, per alcune sembianze analogiche, si è indotti a considerazioni e confronti.

Aldo Moro – la cui vita e attività politica si dispiega nell’intero arco della storia repubblicana che va dal suo avvio, l’Assemblea costituente, sino alla sua tragica fine nel 16 maggio 1978 – assunse la rilevanza di riferimento preminente nelle due fasi successive, quella del centro-sinistra 1960-1972 e quella impropriamente definita della solidarietà nazionale, che per comodità espositiva indichiamo tra il 1974 e il 1980. Di queste due fasi, la seconda e la terza – secondo le definizioni date proprio da Moro – egli fu l’artefice primo, che peraltro ebbe come comprimari grandi personalità della storia repubblicana e partiti politici che ne hanno caratterizzato la vita in modo profondo e decisivo.

Ora, a guardare retrospettivamente quelle due fasi, immediatamente se ne coglie il valore e l’importanza. A maggio del 1947 De Gasperi, con il suo IV governo, ruppe la collaborazione con i socialisti di Nenni e i comunisti di Togliatti come inesorabile conseguenza di Yalta. La Cortina di ferro lambiva l’Italia, la Venezia Giulia fu divisa, Trieste era sotto un regime garantito e gestito dalle quattro potenze che avevano vinto la guerra. La questione altoatesina si concluderà, nonostante gli accordi De Gasperi-Gruber del 1946 e il Trattato di pace, assai duro per l’Italia, con la risoluzione Onu del 1961.

L’Italia che De Gasperi aveva preso nelle sue mani era distrutta dalla guerra, con un’economia azzerata e i problemi della difesa della sua unità territoriale aperti sul tavolo di un’Europa a sua volta divisa in due dalla Cortina di ferro. Non potè che scegliere la linea dell’Alleanza atlantica. Socialisti e comunisti legati nel frontismo proponevano un sistema alternativo riconducibile all’esperienza del comunismo sovietico. Quando Moro, da segretario nazionale della Democrazia cristiana dovrà affrontare il problema politico della governabilità resa difficile, come difficili furono definiti gli anni 1953-58, la scelta ineludibile sarà la ricollocazione nell’area della democrazia occidentale del Partito socialista italiano, che proprio nel 1957, con il suo Congresso di Venezia, avrà scelto di rompere il frontismo e quindi l’alleanza con i comunisti, cioè la collocazione nello schieramento delle forze democratiche occidentali.

Non sarà un processo politico facile e lineare. L’operazione governo Moro non sarà un’operazione di tipo trasformistico-giolittiano, ma l’allargamento della base sociale della democrazia italiana. Moro concepirà l’accordo con i socialisti come il progetto corrispondente all’esigenza storica di vedere lo Stato democratico progressivamente rafforzato con il consenso di quelle parti della società italiana che ne erano state escluse dalla stessa storia post-risorgimentale. Del resto, a questa logica avrà corrisposto lo stesso arrivo dei cattolici alla guida della vita politica nazionale. Il centro-sinistra, quali che furono i risultati delle azioni di governo, rappresenterà una grande operazione di ampliamento e rafforzamento delle basi di libertà dello Stato democratico.

Quando il centro-sinistra sarà entrato in crisi a causa delle politiche centriste del periodo degasperiano e dello stesso riformismo del centro-sinistra, oltre che per la difficoltà crescente del Partito socialista di sostenere responsabilità di governo in contrasto con l’opposizione comunista e con l’opposizione sociale del sindacato (egemonizzato dai comunisti), la soluzione che verrà indicata sarà quella “degli equilibri più avanzati” proposti dalla segreteria De Martino del Psi. Moro affronterà la complessa questione con la politica dell’attenzione, momento iniziale della terza fase, quella della solidarietà nazionale.

Allora Moro, nella seconda e terza fase della vita repubblicana, è l’artefice del complesso disegno che permetterà all’Italia – e di mezzo c’è il sacrificio della sua vita – di giungere al traguardo della svolta epocale del crollo del comunismo internazionale con un Paese integro e saldo nei suoi ordinamenti democratici. Le forze politiche, i protagonisti e gli attori della vicenda politica attuale si trovano di fronte a un problema di portata diversa. Nel senso che è privo e liberato da condizioni e vincoli stringenti di tipo internazionale, come quelli imperanti sino alla caduta del comunismo.

Il richiamo all’esperienza Moro può essere, invece, apprezzato nel senso del richiamo alle qualità che la politica richiederebbe: cultura, saggezza, profondità umana, esperienza, metodo e capacità di raffronto e di dialogo. In queste, Moro sarà impareggiabile. Auguriamoci che se ne tenga presente l’esempio.

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