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Il settantasettesimo compleanno del Presidente Sergio Mattarella cade a metà del suo mandato e dopo che è stato superato uno dei passaggi più complessi finora presentatisi: la formazione del nuovo governo dopo le elezioni del 4 marzo.

È possibile quindi tentare di delineare sommariamente qualche caratteristica di fondo di questa presidenza.

Nel suo discorso al momento del giuramento di fronte alle camere riunite, Mattarella affermò che un’immagine efficace per definire il ruolo del capo dello Stato è quella dell’arbitro. “All’arbitro – proseguì Mattarella – compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere – e sarà – imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza.”

Guardando alla prima metà del settennato attraverso la lente di questo paragone, si può dire che il Presidente è stato coerente con la sua affermazione. È stato un arbitro che ha applicato con scrupolo la nostra Costituzione, ma con una caratteristica particolare. Se è lecito fare un paragone calcistico è stato un arbitro “all’inglese”. Ha cioè lasciato che i protagonisti politici giocassero la loro partita senza intervenire continuamente a frammentare il gioco. Tuttavia è stato un arbitro inflessibile nei momenti decisivi.

Ricordiamo qualche episodio.

In occasione della crisi del governo Renzi, un momento nel quale da più parti si avanzavano richieste di elezioni anticipate, egli seguì l’approccio sullo scioglimento quale extrema ratio. L’argomento principale addotto da Mattarella per la continuazione della legislatura fu la necessità di rendere omogenei i sistemi elettorali di Camera e Senato, diversificati a seguito delle sentenze della Corte costituzionale che avevano dichiarato la parziale incostituzionalità delle leggi elettorali del 2005 e del 2015.

Si trattava di una richiesta indiscutibile avanzata dal Presidente quale custode della regolarità della vita istituzionale. Non si poteva formare il nuovo Parlamento con due monconi di leggi elettorali diverse e le caratteristiche del nostro bicameralismo perfetto che attribuisce alle Camere identiche funzioni impongono di evitare, per quanto possibile, che le assemblee abbiano maggioranze diverse a causa di sistemi elettorali differenziati.

Che poi la legge approvata non sia venuta incontro ad esigenze di governabilità e presenti seri inconvenienti non è certo dipeso dal Presidente, ma dai giocatori cui egli si era rivolto chiedendo correttezza.

L’altro momento topico della presidenza si è avuto con la formazione del governo c.d. gialloverde, presieduto dal prof. Conte. Senza entrare nei dettagli di una vicenda che ha presentato numerosi aspetti di complessità e ha sottoposto a dura prova le procedure costituzionali, può dirsi che Mattarella sia rimasto fedele al suo metodo.

In una situazione nella quale le camere apparivano ingovernabili, ha con pazienza dato il tempo e il modo alle forze politiche di trattare e di chiarirsi. Tuttavia quando si è reso conto che la durata della crisi si stava allargando a dismisura ha posto dei paletti precisi. Il conferimento dell’incarico a Cottarelli per la formazione di un c.d. “governo del Presidente” ha tolto ogni alibi a manovre inutilmente e pericolosamente dilatorie. Sfidando l’assolutamente infondata minaccia di “impechment” (istituto che peraltro non esiste nella nostra Costituzione, la quale parla di “messa in stato di accusa”), il Presidente è riuscito alla fine a dare un governo al paese. Il che costituisce uno dei suoi compiti essenziali, indipendentemente dal giudizio che ognuno può dare sull’esecutivo.

Nella formazione del governo si è inserito un episodio dai tratti peculiari: il rifiuto di nominare ministro dell’economia il prof. Savona. Precedenti di rifiuti presidenziali a nominare ministri ve ne sono, ma in generale erano fondati sulle qualità personali. Nel caso Savona, invece, la motivazione era basata sulla linea politica non europeista che il ministro avrebbe potuto seguire. Le opinioni sulla decisione presidenziale sono state differenziate ed essa ha subito anche qualche critica ma, a mio avviso, non si può negare che la Costituzione attribuisce a lui il potere di nomina e al presidente del consiglio solo quello di proposta.

Infine la vicenda della nave militare Diciotti che aveva a bordo migranti strappati ad un naufragio. La decisione circa il suo approdo in un porto italiano era al centro di una rivendicazione di competenze tra diversi ministeri e si era aperta una diatriba sul seguito giudiziario da dare a episodi di presunta ribellione da parte dei migranti. Per evitare un pericolosissimo stato di conflitto istituzionale che avrebbe potuto avere effetti dirompenti, Mattarella è intervenuto spingendo il presidente del consiglio ad individuare una rapida soluzione, che si è concretizzata nell’approdo della nave nel porto di Trapani.

Queste vicende mostrano come Mattarella, coerentemente a quanto enunciato al momento del suo insediamento, ha tenuto fede al ruolo di arbitro, cercando la collaborazione dei partiti, ma, nello stesso tempo è stato inflessibile nei momenti più delicati e di svolta della nostra vita democratica. In definitiva, senza essere invasivo del gioco politico, ha tenuto fede alla definizione che del Presidente della Repubblica fu data all’Assemblea Costituente: il grande regolatore del gioco istituzionale.

mattarella

Sergio Mattarella, tanti auguri al Presidente arbitro. Ma all'inglese

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