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“Un atto dovuto”: così il commento, riportato dall’agenzia Ansa, con cui è stata giustificata dalla Procura di Campobasso l’iscrizione nel registro degli indagati del ministro Paolo Savona. Si tratterebbe di fatti accaduti quando egli era al vertice di Unicredit, un’inchiesta riguardante i parchi eolici di Molise, Puglia e Campania.

Ancora non è facile capire bene la fondatezza delle accuse, che coinvolgono ben 22 persone, e la presunta responsabilità diretta del ministro. Quello che però appare certo è che i rapporti tra politica, legalità e giustizia, non sono per niente risolti nel nostro Paese, ma che essi stanno conoscendo invece l’inizio probabile di una nuova fase acuta di conflitto.

Se, da un lato, in tutto il mondo chi ricopre cariche di responsabilità pubblica può trovarsi sotto indagine, il caso italiano rappresenta incessantemente una grandiosa anomalia, non da ultimo perché la nostra storia nazionale è cambiata radicalmente da quando, negli anni ’90, Mani Pulite ha aperto il coperchio della politica, offrendo un quadro desolante di corruzione e malaffare, radiando un’intera classe dirigente e cancellando dalla realtà un intero sistema di partiti. Purtroppo, da allora il potere della magistratura, che nella stragrande maggioranza dei casi agisce bene e correttamente, è cresciuto in maniera progressiva e inarrestabile, giungendo, nel lungo periodo berlusconiano, addirittura a essere un contropotere opposto e contrario al potere politico.

Ripeto: è ancora presto per capire il valore di questa indagine e quale sia il grado di responsabilità di Savona. È tuttavia legittimo chiedersi: è normale che un governo insediato da così poco tempo veda un suo protagonista, Matteo Salvini, con i conti correnti bloccati per nefandezze avvenute in una gestione precedente del proprio partito, e adesso un ministro scomodo inquisito per avvenimenti anch’essi non relativi di certo al ruolo oggi ricoperto?

È chiaro che la giustizia debba fare il suo corso, è logico che ogni singola responsabilità debba attendere la conclusione di un iter completo; ma è altresì evidente che anche il perenne conflitto tra poteri dello Stato sia tuttora in atto e debba trovare presto un suo epilogo.

L’essenza di una democrazia presuppone, infatti, che i diversi poteri siano tra loro distinti. Ma richiede pure che ogni relativo potere pubblico, esecutivo, giudiziario e legislativo, sia rigorosamente limitato dal rispetto degli altri. Questo vale per ogni singola libertà individuale, lecita solo se espressa nella legalità, ma anche e di più per i poteri pubblici, rappresentativi del bene comune. A maggior ragione questo senso del limite deve ispirare e muovere la magistratura, perché il potere giudiziario è il più necessario e temibile dei poteri, riguardando le libertà fondamentali della persona.

E se, in un contesto generale, la politica in Italia appare debole, perforata da tanti interessi di parte, spesse volte non trasparenti come dovrebbero, è anche vero che il giustizialismo non soltanto è un male da estirpare ma una seria minaccia per la democrazia e la libertà.

Il nostro Paese tornerà a essere normale e forte quando anche questo eccesso verrà ricondotto ad un bilanciamento ponderato e prudente. Anche perché la magistratura è credibile quando la sua funzione è svolta con un’indipendenza assoluta da dinamiche estranee alla legge e con una purezza quasi certosina nel far valere la propria indipendenza di giudizio, che comincia fin dalle indagini preliminari.

E, sebbene non sappiamo ancora se e in che misura Savona sia responsabile di atti illegali compiuti in passato, conviene essere particolarmente misurati nel non lasciare che la giustizia diventi una gogna mediatica con cui, al solito, le dinamiche democratiche vengono condizionate e, purtroppo, di sovente anche le reputazioni personali infangate irreparabilmente, molto prima che un giudizio finale abbia decretato l’innocenza o la colpevolezza dell’autorevole indagato.

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