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Jeremy Corbyn non ha tenuto un discorso sulla Brexit per circa un anno e alla camera dei Comuni ha sempre evitato l’argomento, come a confermare, o, almeno, a dare adito al sospetto che il suo euroscetticismo fosse un argomento scomodo per un leader laburista. Eppure lunedì, a Coventry, Corbyn ha lanciato il suo guanto di sfida alla May, e proprio sulla Brexit. Finalmente, ha chiosato qualcuno.

In un discorso tanto atteso – alla BBC erano convinti che sarebbe stato un discorso capace di cambiare i piani del governo – ha preparato il terreno per una titanica resa dei conti. È così che ne hanno parlato, in generale, i giornaloni intenti a riabilitare il leader laburista dopo lo scandalo dello spionaggio comunista che lo ha coinvolto recentemente.

Il discorso di Mr. Corbyn ha tenuto con il fiato sospeso tutto il mondo di sinistra. Nell’ordine, ha voluto insistere sul fatto che ogni Paese che è geograficamente vicino all’Ue ha una stretta relazione doganale con il blocco; ha avvertito che nulla potrà minare il famoso ‘accordo del Venerdì Santo’ che ha portato “vent’anni di relativa pace, sviluppo e rispetto per la diversità nell’Irlanda del Nord”; per poi calcare la mano sulla Brexit: Corbyn è convinto che non sarà né un “disastro” né renderà l’Inghilterra una “terra di latte e miele”, ma ci ha tenuto ad ammonire un po’ tutti sul fatto che potrebbe comportare gravi danni se il Regno Unito deciderà di interrompere nettamente ogni rapporto con Bruxelles. Ha, comunque, affermato che rispetterà il risultato del referendum, “ma lavorerà ancora con i partner europei per gli interessi economici di questo Paese”. Si è detto pronto, allo stesso tempo, a lasciare la porta aperta ad un secondo referendum sull’ultimo accordo sulla Brexit e poco male se la cosa causerà nuova agitazione.

È passato velocemente alla nota dolente dell’immigrazione ed ha giudicato gli obiettivi dei tory per ridurre l’immigrazione, come “fasulli”. Quello che è emerso dal lungo discorso, ad ogni modo, è che la priorità del Labour sarà l’economia: lo scopo è imporre una visione di sinistra, come l’ha definita lo stesso Corbyn che, dopo la Brexit, consentirà al governo di nazionalizzare e sovvenzionare le industrie. “I laburisti sono pronti a negoziare un nuovo rapporto con l’Europa che sia stretto e comprenda accesso senza tariffe al mercato unico e continuazione dei diritti esistenti, degli standard di oggi e dei meccanismi di protezione degli scambi”, ha detto Jeremy Corbyn a Coventry.

Ma se c’è una cosa che lo turba, e non poco, ha ammesso, è che proprio dal voto sulla Brexit sia dipeso un aumento delle aggressioni xenofobe e razziste. Mentre i tory provavano a trovare il nesso tra Brexit e presunto razzismo, l’onorevole Corbyn ha giocato l’asso. Rivolgendosi direttamente ai ‘remainers’ – i deputati del Tory che non vogliono più abbandonare l’Unione – li ha esortati alla ribellione per unirsi a lui e far cadere il governo. Come un Grasso qualunque pronto a raccogliere chi non crede più nella sinistra rappresentata dal Pd.

La Brexit di Corbyn, così, prevede una Gran Bretagna che resta nell’unione doganale, come Norvegia, Svizzera e Turchia che hanno una “stretta associazione” con Bruxelles pur essendo fuori dalla Ue. E, come già detto, la cosa potrebbe creare i presupposti per una sconfitta di Downing Street quando la questione dell’appartenenza all’unione doganale sarà esaminata dalla Camera dei Comuni nelle prossime settimane: i voti dei laburisti insieme a quelli dei conservatori europeisti potrebbero mettere in minoranza il governo. Theresa May avrebbe comunque l’opzione di porre la fiducia, ma se i ribelli tories votassero a quel punto contro di lei, la premier dovrebbe dimettersi e il Regno Unito avrebbe la possibilità di nuove elezioni anticipate.

I laburisti sentono già la vittoria in tasca, coadiuvati come sono da una stampa che ha celebrato il discorso di Corbyn come qualcosa capace di mettere in discussione la stessa identità dei conservatori. In realtà il governo ha badato davvero poco alle parole dell’aspirante premier, o, comunque, ha sbrigato la faccenda con una certa sufficienza. Come Boris Johnson, “Corbyn fa di tutto per vincere il voto delle elezioni locali. È un cinico e un illuso. Il suo piano lascerebbe il Regno Unito come una colonia dell’UE – incapace di riprendere il controllo dei confini o della politica commerciale: la bandiera bianca prima ancora che i colloqui inizino”. E al tweet del ministro degli esteri ne sono seguiti altri simili.

Ma anche da sinistra non è stato tutto un scrosciare di applausi. Il consigliere e segretario generale del partito laburista, Brendan Chilton ha twittato questa mattina: “Non c’è nulla di socialista, di internazionalista o di laburista in un’unione doganale che protegga la parte più ricca del mondo contro economie in via di sviluppo, produttori del terzo mondo e opportunità di commercio equo”. Per tanti laburisti, infatti, quella di Corbyn è stata una inversione a U ed è stato persino accusato di “contiuare a punire i più poveri del mondo”.

Per Frank Field, storico membro del partito laburista, quello del capo della nuova sinistra inglese è stato un discorso degno del “migliore Blair”. Non esattamente il complimento migliore per uno come la primula rossa.

Ecco le (inattese) reazioni all'intervento di Corbyn sulla Brexit

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