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5 Stelle En Marche? Non andate a dirlo a Jean Paul Fitoussi, perché potrebbe non prenderla bene. L’economista di fama internazionale, professore della Luiss School of Government, non accetta paragoni tra il suo amico Emmanuel Macron e Luigi Di Maio. E tantomeno riesce a immaginarsi gli euro-entusiasti francesi e i pentastellati in uno stesso gruppo al Parlamento europeo, è “fantascienza”. In questa intervista a Formiche.net Fitoussi spiega perché non ci sono le basi per l’intesa di cui tutti parlano. A due settimane dalla stesura del Def il professore non nasconde i suoi dubbi sul programma economico del Movimento di Luigi Di Maio, anche se il candidato premier di Pomigliano D’Arco “potrebbe avere la statura di un uomo di Stato”. Una lancia però si spezza per il ministro dello Sviluppo economico in pectore Lorenzo Fioramonti, che incontrammo alla Luiss un anno fa mentre presentava il suo libro “Presi per il Pil” (L’Asino d’oro) proprio al fianco di Jean Paul Fitoussi. Coincidenze? “Se l’ho invitato io”, scherza il professore francese, “allora deve essere sicuramente un bravo economista”.

Professor Fitoussi, lei che conosce bene Macron crede alle voci di un’intesa fra En Marche e M5S al Parlamento Europeo?

È fantascienza. Conosco Macron e il Movimento Cinque Stelle, non c’è alcuna possibilità che vadano insieme.

Perché questo matrimonio non s’ha da fare?

Prima di tutto per l’orientamento verso l’Europa. Macron ha fatto una campagna elettorale da europeo convinto di dover applicare le regole europee. Non riuscirebbe a digerire il reddito di cittadinanza. E inoltre non è chiaro se il Movimento Cinque Stelle è un partito che ha veramente un programma o clicca di continuo su wikipedia.

Si possono definire entrambi i movimenti populisti?

En Marche non è affatto populista. La sua campagna elettorale è stata l’esatto opposto di una campagna populista. Non hanno detto ai poveri che sarebbero stati aiutati, né hanno promesso il paradiso il giorno dopo le elezioni. Hanno promesso invece di tagliare le tasse sul capitale per aumentarle ai pensionati. Un movimento populista in Italia non potrebbe mai dire cose del genere.

Non le sembra che anche i Cinque Stelle siano divenuti più istituzionali?

Il Movimento è cambiato e sta cambiando volto, ma serve più tempo. Credo che Luigi Di Maio potrebbe avere la statura di un uomo di Stato, ma c’è ancora lavoro da fare. E soprattutto capire le questioni prioritarie.

Cioè?

Protezione sociale, globalizzazione, Europa. In tutti questi anni non si è ancora capito il pensiero dei Cinque Stelle su queste tre priorità.

Lo scorso settembre alla Sorbona Macron ha lanciato la sua sfida al duopolio europeo Ppe-Pse. Da dove partirà per cercare alleati?

Inizierà dalla Germania. Ora che Angela Merkel è indebolita, Macron ha la strada molto più spianata rispetto a un anno fa. In un secondo momento si rivolgerà al governo italiano, che dovrà essere chiaro. Macron lo è stato fin dall’inizio: applicherà le regole europee, ma farà del suo meglio per modificare in meglio le istituzioni comunitarie. Impossibile trovare una visione comune con la Lega di Matteo Salvini, più facile dialogare con Di Maio. Non ho capito però quale sia la posizione dei pentastellati in materia, ho sentito troppi rumors in contraddizione fra di loro.

Un anno fa ci incontrammo alla Luiss con Lorenzo Fioramonti, che lei aveva invitato a presentare il suo libro “Presi per il Pil”. Questo mercoledì c’è stata una nuova presentazione, ma stavolta Fioramonti si è presentato da candidato ministro allo Sviluppo Economico designato da Di Maio. Condivide la sua antipatia per il Pil?

Davvero l’ho invitato io? Allora deve essere sicuramente un bravo economista (ride, ndr). Non si tratta di antipatia, io e Fioramonti riteniamo che il Pil non sia più una misura sufficiente del benessere della popolazione, e che serva una nuova metrica per calcolare la qualità della vita.

Sul reddito di cittadinanza Fioramonti non ha dubbi: costerà 17 miliardi e ci saranno le coperture. Lei è d’accordo?

Il reddito di cittadinanza è l’ultima cosa che lo Stato farà. Se la digitalizzazione e la tecnologia continueranno a far aumentare la disoccupazione lo Stato sarà obbligato a erogarlo. Al momento però siamo lontani da questo scenario. Una misura di questo tipo costa troppo, perché permette alle persone di vivere con questo reddito, ma al tempo stesso non risolve il problema della sopravvivenza. In Europa c’è un aumento vertiginoso delle persone che vivono con due dollari al giorno, che è la soglia di povertà assoluta. Per sostenere un reddito di cittadinanza sufficiente bisogna chiedere alle persone di pagare tasse molto più alte.

L’imminente allentamento del Quantitative Easing della Bce metterà i bastoni fra le ruote al programma economico di un governo Cinque Stelle?

Non credo, e spiego perché. Non importano le dichiarazioni, adesso Bruxelles ha capito che i governi non possono abbandonare l’Unione Europea. Si è visto quando Tsipras ha vinto le elezioni in Grecia: tutti gridavano alla fine dell’Europa e dell’euro, ma così non è stato, e alla fine l’Ue ha digerito il voto greco. La Banca Centrale ha imparato a digerire le crisi, in buona parte grazie al ruolo di Mario Draghi. Non credo dunque che l’avvenimento dei Cinque Stelle al potere in Italia metterebbe l’euro e l’Eurozona in pericolo.

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