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L’accordo tra la società Acea e le organizzazioni sindacali di categoria che dispone rilevanti deroghe al dlgs 81/15 (job act) merita valutazioni di merito e di principio. In termini generali dobbiamo riconoscere ormai il primato dell’intesa aziendale sul contratto nazionale e sulla stessa legge, fermi restando quei contenuti non negoziabili che sono indicati dal diritto comunitario e internazionale del lavoro.

L’art.8 della manovra estiva del 2011 e l’art.51 dello stesso job act consentono una ampia derogabilità delle norme purché sia adeguata la rappresentatività dei sottoscrittori a nome dei lavoratori. Ed è ormai opinabile la qualificazione in peius o in melius ” delle singole modifiche perchè un accordo va letto e interpretato nel suo complesso. D’altronde le parti aziendali hanno bisogno di un continuo adattamento reciproco per condividere le sfide competitive e tradurne gli eventuali risultati in maggiore benessere e migliore remunerazione dei lavoratori. Si può presumere che nella concreta dimensione d’impresa nulla sia concesso gratuitamente per cui l’equilibrio raggiunto sia di per sè virtuoso. E nulla, a priori, può giudicarsi bene o male. Incluse le modifiche all’articolo.18. Le grandi confederazioni dovrebbero accettarle tanto quando rafforzano la tutela della reintegrazione quanto nei casi in cui la sostituiscono in ogni caso con l’indennizzo.

Ciò premesso, nel caso di Acea, sorge spontaneo il dubbio circa la presenza del “buon datore di lavoro”. Le società di gestione dei servizi pubblici locali vengono da una storia di relazioni industriali viziate dalla loro natura pubblica. Chi ha avuto esperienze negoziali ricorda l’irruzione al tavolo del sindaco o dell’assessore che intimava agli amministratori di “mollare”. Ma spesso non occorreva l’ingerenza della politica perché le parti stabilissero concordemente oneri impropri che si sarebbero poi riverberati sui bilanci e sui contribuenti.

In certa misura le cose sono cambiate con il conferimento delle attività a società per azioni che talora, come nel caso di Acea, sono addirittura quotate e dotate di modalità complesse di governance. La permanenza tuttavia dell’azionista pubblico di riferimento e i criteri di designazione del management fanno comprensibilmente interrogare sulla sua effettiva autonomia. Leggeremo con attenzione i contenuti dell’intesa per comprendere se lo scambio sia stato vantaggioso per tutte e due le parti. L’azienda dichiara di avere guadagnato in termini di maggiore flessibilità operativa anche attraverso nuovi inquadramenti professionali che potrebbero far venire meno le esigenze di un parziale demansionamento dei dipendenti quando necessario.

I sindacati rivendicano lo “scalpo” della piccola modifica dell’art .18 introdotta dal job act solo per i nuovi assunti. Per il controllo a distanza tutto sarebbe rinviato a specifiche intese. Ora qualcuno già parla di estensione dell’intesa alle altre società partecipate dal pubblico in una città in cui Comune e Regione concorrono ad imporre un prelievo aggiuntivo sui redditi davvero pesante per coprire (solo in parte) le loro croniche inefficienze. Ogni pressione politicista sui rapporti di lavoro sarebbe quindi solo la causa di ulteriori dissesti ed anche chi ritenesse di avere vinto oggi perderebbe domani con l’arrivo del conto.

Perché la politica farebbe bene a tenersi lontana dalla questione Acea

L'accordo tra la società Acea e le organizzazioni sindacali di categoria che dispone rilevanti deroghe al dlgs 81/15 (job act) merita valutazioni di merito e di principio. In termini generali dobbiamo riconoscere ormai il primato dell'intesa aziendale sul contratto nazionale e sulla stessa legge, fermi restando quei contenuti non negoziabili che sono indicati dal diritto comunitario e internazionale del lavoro.…

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