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Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha annunciato di voler ospitare il 25 e il 26 luglio a Foggy Bottom, sede del suo dipartimento, a Washington, una ministeriale con cui lavorare per “identificare modi concreti per respingere le persecuzioni e garantire un maggiore rispetto per la libertà religiosa per tutti”.

I più alti funzionari del governo americano, tra cui lo stesso presidente Donald Trump, il vicepresidente Mike Pence e appunto il segretario Pompeo, fanno della difesa della libertà religiosa una priorità politica. Il loro sostegno alla continua ricerca di fatti, insieme all’imposizione di misure punitive per i reati contro la libertà religiosa va nell’ottica del pluralismo di cui l’America s’è sempre fatta simbolo, ed è un impegno a tutti gli effetti globalista basato su un argomento idealista storico.

La riunione che Pompeo ospiterà sarà in qualche modo un ulteriore passo avanti, il primo incontro di questo tipo nella storia del Dipartimento. La speranza è di riunire funzionari di governi e rappresentanti di organizzazioni internazionali, comunità religiose e società civile che condividano la stessa opinione per riaffermare l’impegno per la libertà religiosa come diritto umano universale, spiega. Secondo Pompeo, “non sarà solo un gruppo di discussione, ma riguarderà azioni concrete”.

Per quanto reso noto ancora in via ufficiosa, l’Italia ci sarà, sarà parte di discussione e impegno, e sfrutterà l’occasione per continuare la nuova relazione speciale che il governo Conte ha intavolato con l’amministrazione Trump, allineandosi anche su questo aspetto dagli alti principi.

Qualche settimana fa, il dipartimento di Stato ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla libertà religiosa internazionale (IRF), con un risultato generale preoccupante che ci ricorda quanto nel nostro mondo oggi sia sotto attacco e come la leadership americana continui a essere cruciale, in questo impegno globale con cui la Casa Bianca sa di dover andare oltre l’America First.

Il rapporto dell’IRF offre una valutazione completa, paese per paese, dello stato di libertà religiosa in tutto il mondo. La relazione di quest’anno denuncia abusi come la detenzione criminale di figure religiose in Arabia Saudita e Turchia, nonché in Corea del Nord e l’Iran, o in Russia (pochi giorni fa la portavoce di Pompeo ha chiesto a Mosca di cambiare comportamento per poter essere considerata un interlocutore potabile, anche in vista dell’incontro Trump-Putin), Cuba, Venezuela, sono altri paesi che pongono ostacoli alle attività dei gruppi religiosi. La relazione, che segnala abusi sui dissidenti religiosi anche in Cina, prende nota in particolare di quelle situazioni segnate con la “(v)” ossia i casi di “violenza, discriminazione e molestia” vissuta dalle minoranze religiose, per esempio in Myanmar.

Infine, c’è la triste osservazione che i cristiani in Siria continuano a soffrire per mano di attori non statali come l’Isis e Hayat Tahrir al-Sham (la filiale qaedista locale), e che i pochi cristiani rimasti in Iraq subiscono abusi, molestie, e oltraggi che impediscono il loro movimento all’interno e intorno alle città cristiane e limitano le loro opportunità economiche.

La relazione annuale IRF viene sottoposta al Congresso dal dipartimento di Stato su mandato dell’American Religious Freedom Act (IRFA). Quest’anno ricorre il ventesimo anniversario dell’IRFA. Passato con il sostegno bipartisan, l’IRFA ha contribuito a garantire la considerazione e la promozione della libertà religiosa nello sviluppo e nella conduzione della politica estera americana.

Dopo  l’IFRA, gli Stati Uniti a nome della libertà religiosa internazionale hanno messo in luce i riflettori sui cattivi attori, hanno allertato la comunità mondiale e hanno galvanizzato le preoccupazioni tra i legislatori. Ma i paesi decisi a opprimere le comunità religiose continuano ad agire con impunità.

L’attuale amministrazione è impegnata nel pressare sulle libertà religiose con uno sforzo guidato da colui che il sito specialistico The Hill definisce “un campione di lunga data della libertà religiosa internazionale”, Sam Brownback.

Confermato su nomina di Trump a febbraio come ambasciator-at-large per la libertà religiosa internazionale, Brownback è iper attivo e gode del pieno sostegno del presidente. All’uscita del rapporto annuale dell’IRF, ha osservato che “la schiavitù di una persona è il fardello di un’altra persona da spezzare”.

Coerentemente con questa preoccupazione, Brownback ha lavorato personalmente sulla vicenda di un pastore evangelico americano, Andrew Brunson, che è stato imprigionato in Turchia per oltre 19 mesi con false accuse di terrorismo e spionaggio: l’impegno di Brownback è scortato da “interessi governativi di altissimo livello” con cui Washington spinge per la liberazione di Brunson è stato ripreso dal presidente Trump poche settimane fa. La vicenda è piuttosto delicata ed è stata citata dai congressisti tra le ragioni per cui il Senato ha deciso di inserire un emendamento nella maxi-legge per la DIfesa con cui bloccare la consegna degli F-35 alla Turchia.

Oltre a difendere un collega americano perseguitato, Brownback dice che la preoccupazione e la compassione per coloro che soffrono la persecuzione religiosa sono centrali negli Stati Uniti, e perciò questo deve essere mostrto anche ad altre vittime in tutto il mondo. Di recente l’ambasciatore è stato in Bangladesh, come uomo che a cui l’amministrazione ha affidato la crisi della pulizia etnica Rohingya in Myanmar (i Rohingya sono un popolo prevalentemente musulmano mentre la maggior parte del paese è buddista, e per questo perseguitati, detto semplificando).

Brownback è attento a quella che definisce la “crisi di rifugiati in più rapida crescita del mondo”, ha portato la situazione tra gli americani raccontando di aver osservato con grande tristezza che ognuno dei bambini scelti a caso da lui per essere intervistati gli ha riferito di aver visto i familiari abusati, feriti o uccisi di fronte a loro.

 

Libertà religiosa. Pompeo convoca il summit a Washington (Italia presente)

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