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Va di moda parlare dei “Rider” e io ho sempre paura di ciò che “va di moda”. Affrontare un tema qualsiasi, perché si ritiene – a torto o ragione – che possa portare consensi o almeno interesse rischia sempre di trasformarlo in altro. Lampante questo caso, in cui si sprecano con assoluta leggerezza espressioni mirabolanti, come ‘nuovo schiavismo digitale’. Il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, ha addirittura inaugurato la propria attività da loro, i ragazzi che sfrecciano in bici o motorino, per consegnare a casa pasti caldi. Lo ha fatto perché elevati a simbolo della nuova precarietà giovanile. Di più: della cronica assenza di speranza, che ridurrebbe i nostri giovani ad accettare qualsiasi cosa, senza avere neppure più la forza di chiedere diritti.

Chissà se in questo rumoroso contesto, che ha risvegliato persino l’eterno appetito per i ‘tavoli’ della Camusso, qualcuno si sia chiesto cosa vogliano i rider stessi, da questo lavoro. Dato per scontato che essere pagati di più e meglio sia sempre una legittima aspirazione e che le coperture assicurative debbano essere riviste, a me sembra evidentissimo che si stia parlando di un “lavoretto”.

Lo scrivo con il massimo della considerazione, ma cercando di evitare ipocrisie. Non è e non sarà mai il lavoro della vita, perché non può esserlo, perché non puoi costruire nulla, su quello che ragionevolmente potranno darti – chiunque, anche aziende analogiche al massimo – per portare un paio di pizze dal punto A al punto B. Raccontare a qualche giovane sprovveduto che potrà farsi ‘inquadrare’, facendo questo rispettabilissimo, ma saltuario mestiere è una balla colossale. Il perché è presto detto: se risponderemo con le italiche rigidità alla richiesta del mercato (e il mercato c’è eccome, altrimenti non vedremmo decine di loro sfrecciare nelle nostre città), questo ‘lavoretto’ semplicemente sparirà. Foodora, Glovo, Deliveroo, Just Eat, etc. molleranno e i rider non avranno più pizze da portare da nessuna parte. O meglio, anche questo i moralizzatori dell’ultima ora omettono di ricordarlo, torneremo a quello che accadeva prima, ossia ai ragazzi delle pizzerie egiziane, da chiamare al cellulare. Non li seguiremo con il Gps, ma potete star certi di una cosa: correranno verso di voi regolarmente in “nero”. Esattamente come accadeva, nell’Italia non ancora invasa dalle aziende digitali del food delivery. Queste ultime saranno anche brutte, sporche, cattive e un po’ schiaviste, ma a noi piace prendere in giro i nostri ragazzi. Perché non c’è nulla di peggio e intellettualmente disonesto che spacciar loro come diritti sacrosanti regole irrealistiche, capaci solo di espellerli da questo mercato.

Sono “schiavista” se dico che non ti comprerai mai la casa con un “lavoretto” ed è giusto e naturale così? Che portando pizze o altro si arrotonda, da studenti o in particolari momenti della vita e che non c’è nulla di male a considerare gli step lavorativi per quello che sono?

A me fa paura chi sogna di inquadrare tutto e tutti, condannando i ragazzi a una visione novecentesca del mondo, in cui un contratto vale più di ogni altra cosa. Un rider lavoratore dipendente non sarebbe un rider più felice, sarebbe un fantasma. Non esisterebbe più, sostituito da un suo concorrente ancor più invisibile e poco garantito. I cantori del lavoro che fu, però, potrebbero festeggiare un’altra e imbarazzante vittoria di Pirro. È appena successo con i voucher, su cui stiamo precipitosamente facendo marcia indietro, ma non abbiamo imparato nulla. Perché “va di moda” ed evidentemente basta così.

Foodora, Glovo, Deliveroo, Just Eat, ecc. Perché non si può "inquadrare" tutto e tutti

Va di moda parlare dei "Rider" e io ho sempre paura di ciò che "va di moda". Affrontare un tema qualsiasi, perché si ritiene – a torto o ragione – che possa portare consensi o almeno interesse rischia sempre di trasformarlo in altro. Lampante questo caso, in cui si sprecano con assoluta leggerezza espressioni mirabolanti, come ‘nuovo schiavismo digitale’. Il…

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