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Governo da un lato e Regione Puglia e Comune di Taranto dall’altro stanno discutendo sullo strumento più idoneo – un protocollo d’intesa per l’esecutivo, o un accordo programma per gli enti locali – per recepire quanto è stato chiesto dal presidente Emiliano e dal sindaco Melucci in materia ambientale e che era stato da essi sostenuto con il ricorso al Tar contro il decreto del Presidente del Consiglio del 29 settembre dello scorso anno.

I contenuti del documento inviato dai ministri Calenda e De Vincenti agli interlocutori pugliesi (compresi sindacati e Confindustria) sono riportati in tredici pagine e nove articoli, in cui si parla di copertura dei parchi minerali – da completarsi in 24 mesi – della bonifica che compete ai Commissari dell’Ilva, della valutazione del danno sanitario, della decarbonizzazione, dell’indotto e del fondo sociale. Tale documento, che recepisce molte delle istanze sollevate da Regione e Comune, è da quest’ultimi considerato un passo avanti, ma non ancora sufficiente perché si sollecita uno strumento giuridicamente più vincolante come un Accordo di programma. Ma il ministro Calenda sottolinea che i contenuti del protocollo sarebbero cogenti per le parti firmatarie e verrebbero trasfusi in obbligazioni contrattuali tra Am Investco e l’Amministrazione straordinaria, a condizione che venga ritirato il ricorso entro otto giorni dalla sottoscrizione dell’accordo fra governo ed enti locali. Il comune di Taranto, comunque, ha annunciato una sua controproposta a brevissimo termine.

Ora, al di là di quanto scaturirà in termini auspicabilmente brevi dal confronto fra l’esecutivo, Regione e Comune, è opportuno sottolineare che rimarrebbero ancora da definire nella trattativa – questa volta fra azienda e Sindacati – gli assetti produttivi e occupazionali dei vari stabilimenti. È bene ribadire questo aspetto perché l’opinione pubblica potrebbe essere indotta a pensare che, una volta definito il contenzioso fra governo ed enti locali, il più sia fatto in questa delicata vicenda: e invece saremmo ancora alla prima parte di un percorso che potrebbe rivelarsi molto più lungo e complesso di quanto non immaginato dai potenziali acquirenti.

Infatti la proposta aziendale – sulla quale non si è ancora incominciato a discutere – è quella di attestare a regime i livelli occupazionali dell’intero Gruppo Ilva a poco più di 10mila addetti, a fronte degli oltre 14mila attuali: un dato, quello dei 10mila, che già era risultato in aumento di mille unità, dopo l’iniziale proposta di Arcelor. Degli oltre 4mila esuberi, poi, ben 3.311 riguarderebbero il sito di Taranto che – è doveroso ricordarlo ancora una volta – è non solo il più grande stabilimento siderurgico nell’Unione Europea, ma anche la maggiore fabbrica manifatturiera d’Italia con i suoi attuali 10.980 addetti diretti cui poi bisogna aggiungere gli oltre 7mila occupati nell’indotto.

Allora i sindacati hanno dichiarato che non accetteranno esuberi, anche se il Governo ha affermato che gli occupati che dovessero risultare tali verrebbero impiegati nelle bonifiche nell’area tarantina. Ma strettamente legato ai livelli occupazionale è il nodo di quelli produttivi che si vogliono raggiungere a Taranto il cui impianto ha una capacità massima di 10,5 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Sin quando però non termineranno i lavori dell’Aia, il Siderurgico ionico non può superare i sei milioni di tonnellate all’anno di acciaio liquido, ma potrebbe lavorare bramme di importazione per almeno 2,5 milioni di tonnellate mantenendo così l’attuale occupazione. Arcelor, a sua volta, dichiara di essere disponibile a portare bramme nel sito ionico ma nella quantità prima richiamata solo dal 2019, attestandosi invece nel 2018 ad un’importazione di 1,7 milioni di tonnellate e ad un livello produttivo totale fra acciaio liquido e laminazione di 7,7 milioni di tonnellate.

Ma anche sulla gamma merceologica v’è ancora molto da discutere, dal momento che, ad esempio, non si prevedono investimenti sui reparti tubi dell’Ilva di Taranto che, invece, hanno una rilevante potenzialità produttiva. Pensa insomma Arcelor di sottrarre la costruzione di tubi alla fabbrica pugliese ? Bisognerà attendere infine le decisioni dell’Unione Europea sull’intera operazione.

Insomma, la strada per arrivare alla definizione del trasferimento di proprietà del Gruppo Ilva è ancora lunga e irta di non poche asperità. Dovremo pertanto continuare a seguire con grande attenzione la sofferta vicenda.

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