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L’indubbia vittoria dei cinquestelle alle elezioni del 4 marzo può essere letta sotto varie angolazioni. Ce n’è però una, che è insieme qualitativa e quantitativa, che prevale su tutte. Si tratta di un successo nato, pasciuto e cresciuto nel Mezzogiorno, tant’è che si può dire che senza i numeri conquistati al Sud saremmo certamente più vicini al risultato conseguito nel 2013.

Basti dire che in Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Molise, Abruzzo il partito di Di Maio ha superato il 40% . Quanto poi ai collegi, di tutti i collegi del Mezzogiorno del Senato solo Reggio Calabria è sfuggita ai grillini ed è andata al centrodestra, e di tutti i collegi del Mezzogiorno della Camera, solo due collegi calabresi e uno in Campania sono andati al centrodestra. Un vero e proprio cappotto. Sgarbi, a questo punto, se la prenderebbe con il “popolo bue” che vota quella “capra” (anzi, lui direbbe ben di peggio) di Di Maio. Siamo, invece, di fronte ad un fenomeno sociale e politico che merita riflessioni adeguate. Provo ad indicarne alcune in prima approssimazione.

Alla base c’è, probabilmente, un Mezzogiorno che in molti ceti sociali si sente abbandonato dalle classi politiche e di governo e c’è l’attrattiva che esercita un Movimento che è sempre stato di protesta e che ora si accinge a diventare potenziale partito di governo. Ci può essere poi l’attrattiva specifica che esercita per moltissimi giovani disoccupati e neet, che nè studiano nè lavorano, e per le loro famiglie, quella che è da sempre la proposta di bandiera del Movimento, il reddito di cittadinanza, tanto più ora che si profila la possibilità che possa anche andare al governo.

Non sono mai stato tenero nell’analisi del Movimento Cinque stelle, e non è che essersi auto dichiarati partito di governo ha fatto venir meno di colpo quella particolare miscela fatta un pò di dilettantismo e un pò di populismo che caratterizza il Movimento, però a questo punto ci si deve chiedere se non pochi elettori del Mezzogiorno con questa opzione di voto abbiano scelto di uscire da quei circuiti assistenzial-clientelari che spesso caratterizzano la politica nelle regioni del Sud.

Pensiamo, ad esempio, alla Sicilia dove forse molti elettori, dopo aver, pochi mesi fa, acceduto al voto in vari casi “organizzato”, che ha segnato il successo del centrodestra, hanno indirizzato il voto verso i grillini che, non a caso, hanno vinto in tutti i collegi uninominali. Ma, forse, l’aspetto complessivo più significativo del “cappotto” dei cinquestelle al Sud sta – vale la pena ribadirlo – in un voto di protesta verso una classe politica e dirigente che sembra aver dimenticato il Mezzogiorno e, soprattutto, i giovani del Mezzogiorno e su questo si dovrebbe seriamente riflettere.

Fenomenologia di un Sud tradito che sceglie Di Maio

L'indubbia vittoria dei cinquestelle alle elezioni del 4 marzo può essere letta sotto varie angolazioni. Ce n'è però una, che è insieme qualitativa e quantitativa, che prevale su tutte. Si tratta di un successo nato, pasciuto e cresciuto nel Mezzogiorno, tant'è che si può dire che senza i numeri conquistati al Sud saremmo certamente più vicini al risultato conseguito nel…

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