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Matteo Salvini è il portavoce ufficiale della coalizione che si presenta sempre più verde e meno gialla. Alla fine l’ha spuntata lui, e non solo sui contenuti del contratto. Anche sulla premiership il leader della Lega ha vinto se è vero, come afferma lui stesso, che Luigi Di Maio non sarà presidente del Consiglio.

Una notizia buona per il partito nordista ma un grande rischio per la tenuta del nuovo governo. Il fattore tempo non è infatti una variabile indipendente. E la tenuta del Movimento 5 Stelle è tutt’altro che un dato acquisito. Beppe Grillo e Alessandro Di Battista non fanno mistero di avere qualche riserva su come sono stati gestiti questi due mesi e mezzo, dal 5 marzo. Figuriamoci ora che verranno le responsabilità di essere maggioranza senza poter scaricare le colpe verso i “potenti di sempre”. Non solo però l’ala sinistra potrebbe entrare in subbuglio. Anche i governisti pentastellati sono turbati. L’uscita del professor Tridico che ha gettato la spugna dopo aver letto il contratto siglato con i leghisti la dice lunga sulla estensione dei mal di pancia. Se Di Maio non sarà lui a palazzo Chigi, come arginare i malesseri che possono solo aumentare?

Intanto, c’è da fare il governo. Ed è ancora Salvini a dare la linea. “Non accettiamo veti”, è il mantra che ripete. Come se la Costituzione non esistesse, come se Mattarella debba soltanto prendere atto della trattativa svolta dai capi dei due partiti. Come se il Capo dello Stato non avesse già mostrato una grande pazienza avendo non ostacolato il processo – assai farraginoso (termine eufemistico, ovviamente) – che ha consentito di giungere finalmente ad un’intesa.

Quante critiche ha dovuto silenziosamente ingoiare il Presidente della Repubblica? Il riferimento a Giuliano Ferrara non è certo implicito. Ora, Salvini e Di Maio possono continuare a fare dichiarazioni da campagna elettorale ma il loro gioco entra in ogni caso in una fase nuova. Quella della responsabilità. Possono presentarsi al Quirinale con una lista “prendere o lasciare” composta da accoliti di partito non necessariamente preparati oppure possono avere l’umiltà di accettare qualche consiglio. Oppure ancora – ed è l’ipotesi che più ci piace – possono sorprendere il Colle (e gli italiani) proponendo ministre e ministri di assoluto livello, oltre che coerenti con il contratto e la loro visione politica.

Quello che succederà effettivamente lo scopriremo nelle prossime ore ma non c’è dubbio che un happy end delle polemiche di queste settimane sarebbe il migliore happy start dei prossimi mesi.

Di Maio non sarà premier, ma ora su intera squadra di governo si aspettano (buone) sorprese

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