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È momento di fare una scelta, di mandare un messaggio all’estero distogliendo per un attimo lo sguardo dalle frenetiche trattative politiche in corso che, si auspica, stanno per giungere a termine. Parigi, Berlino, perfino Bruxelles, che pure segue preoccupata la politica italiana, possono aspettare. Washington ha più fretta: l’Italia era la chiave di volta dell’Alleanza Atlantica all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, lo è anche oggi, ma deve chiarire la sua postura. Così l’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia Lewis Eisenberg ha convocato nella storica residenza romana di Villa Taverna esperti, policymakers, diplomatici, imprenditori e giornalisti per mettere a fuoco lo stato delle relazioni bilaterali fra Roma e Washington. L’incontro, organizzato dall’Istituto Affari Internazionali (Iai) e moderato dal caporedattore Esteri de La Stampa Alberto Simoni, ha visto alternarsi sul palco la direttrice per gli affari Europei dell’Aspen Marta Dassù, il direttore del Centro Studi Americani Paolo Messa, il professore della John Hopkins Daivd Unger, Ferdinando Nelli Feroci e Nathalie Tocci, rispettivamente presidente e direttrice dello Iai.

Ma è soprattutto la platea che ha dato la misura dell’evento. Non è casuale la presenza di due pezzi da 90 del Movimento 5 Stelle come la vicepresidente del Senato Paola Taverna e il deputato Manlio Di Stefano. Entrambi accorsi ad ascoltare l’appello dell’ambasciatore Eisenberg, che introducendo l’incontro ha chiesto al governo italiano di prendere una posizione chiara sul finanziamento della Nato, l’accordo sul nucleare iraniano, e soprattutto le sanzioni alla Russia. Sanzioni che la Lega vuole eliminare, inserendo addirittura nel contratto di governo, si mormora questi giorni, il no italiano alle misure europee contro il Cremlino. Non è forse un caso neanche il fatto che, dei molti leghisti inseriti nella lista degli invitati, neanche uno si è presentato a Villa Taverna. C’era invece il segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni, recentemente finita nel totonomi per la premiership (in quota Quirinale). Con lei anche la rappresentante della Commissione Europea in Italia Beatrice Covassi, voce di Bruxelles nello stivale.

“The US-Italy relationship in a changing world”. Difficile trovare un titolo più calzante per un seminario che vuole mettere a fuoco il futuro delle relazioni con gli States. Le tentazioni di deviare la rotta sono molte: un governo a guida Lega-5 Stelle che promette di rivedere da cima a fondo la politica estera italiana, le frizioni europee con la Russia e l’uscita di Trump dal Jcpoa, l’accordo che aveva riappacificato l’Europa con l’Iran, un Paese cui l’Italia è legata da interessi economici tutt’altro che irrilevanti. Trovare un equilibrio per salvaguardare l’Alleanza Atlantica e tenere aperto un canale di dialogo con Mosca non è impossibile, ma su un punto tutti i panelists sono d’accordo: tertium non datur. “Non possiamo dirci amici degli Stati Uniti e al contempo dire che dobbiamo ritirare immediatamente le sanzioni alla Russia”, commenta Messa, “abbiamo sempre saputo coniugare i nostri interessi con la leadership degli Stati Uniti”. Bisogna dunque preferire lo scontro frontale? “Tutt’altro”, continua, “se qualcuno vuole impegnarsi per avere un rapporto migliore con Mosca è ben accetto. Scimmiottare oggi le posture della Guerra Fredda sarebbe un errore, ma sarebbe tragico ignorare la natura ibrida delle minacce che sono poste oggi davanti alle nostre democrazie”. Marta Dassù non nasconde i suoi dubbi sul governo nascente e mette in guardia chi crede che il grido di “Italy first” basti per guadagnare consensi oltreoceano. “In teoria oggi la politica interna italiana avvicina gli Stati Uniti di Trump, ma questo non garantisce convergenza vera su politica estera”, dice. C’è un precedente poco rassicurante: “Trump ha accolto la Brexit come segno premonitore della sua vittoria, eppure i dissensi fra Stati Uniti e Regno Unito sono aumentati nell’ultimo anno. La sintonia in politica interna non garantisce un’unità di visioni in politica estera”.

“Ci sono molte ragioni per riprendere un dialogo con la Russia, a partire dal disarmo e dal controllo degli armamenti” fa notare l’ambasciatore Nelli Feroci. Ma il governo che verrà dovrà tenere a mente che nell’Ue le decisioni sono collettive, e l’unilateralismo non è contemplato. “Le sanzioni alla Russia sono europee. Qualunque decisione venga presa in merito dovrà essere discussa in quel contesto”. Resta ottimista anche Nathalie Tocci: l’amicizia con gli States rimarrà solida, a prescindere dallo strappo sull’accordo sul nucleare iraniano, per cui lei ha lavorato in prima persona al fianco di Federica Mogherini. “Non c’è una rottura radicale dei rapporti transatlantici, quanto semmai una trasformazione” ha commentato la direttrice dello Iai, “la Guerra Fredda è finita trent’anni fa. I rapporti che hanno guidato la partnership transatlantica nell’ultimo decennio dovranno necessariamente cambiare, ma resteranno saldi”.

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