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All’indomani dell’inaugurazione della sede dell’ambasciata americana a Gerusalemme, nel giorno della Nakba (esodo) del popolo palestinese, un coro di voci discordanti si è sollevato dalle pagine dei giornali e dai discorsi dei leader politici internazionali. “Con questo gesto ​- spiega a Formiche.net Fiamma Nirenstein – ​il​ Presidente americano stabilisce una verità di fatto che già tutti sapevano e che, nonostante sia davanti agli occhi del mondo, si continua a negare:​ Gerusalemme è la Capitale di Israele”. ​Secondo la scrittrice ora impegnata nel think tank ​Jerusalem Center for Public Affairs​, “Hamas, che ha organizzato una società integralista islamica miserrima investendo tutti i suoi denari nelle sue milizie, scaraventa la sua gente sul confine di Israele sapendo benissimo che questo agli occhi di chi legge i giornali appare come una manifestazione, quando invece si tratta del tentativo di effrazione del confine”.

Ieri è stata aperta l’ambasciata americana a Gerusalemme. ​Un boomerang con il senno di poi?

L’apertura dell’ambasciata statunitense è sicuramente un fatto molto positivo, come lo sono sempre tutti i gesti che rivelano una verità, che mettono davanti agli occhi del mondo un dato di fatto rispetto al quale poi bisogna fare i conti con il futuro. Se c’è una cosa che veramente può favorire un percorso di pace è che la lettura da parte araba e palestinese di Gerusalemme avvenga per quello che è, cioè per il fatto Gerusalemme è la capitale di Israele. Questo, come ha detto lo stesso Donald Trump, non pregiudica poi il fatto che ci possa essere una trattativa su determinati quartieri, sulla possibilità di trovare un accordo che riguardi proprio lo status di Gerusalemme. Intanto, però, da parte di nessuno c’è la volontà di cambiamento.

Quali sarebbero queste trattative? A quali zone della città fa riferimento?

Si è parlato in questi giorni del fatto che Trump avrebbe un piano di pace che consegna ai palestinesi alcuni quartieri tra cui Abu dis, di cui si parla ormai da moltissimo tempo come del luogo in cui i palestinesi avessero in progetto di costruire il nuovo Parlamento. Va benissimo, però, intanto, partiamo dalla realtà. E di questa insopportabile contrapposizione alla realtà per cui anche gli europei non sono in grado di dire ciò che è vero da tremila anni, cioè che Gerusalemme è la capitale non solo dello Stato di Israele ma della storia ebraica, del popolo ebraico dai tempi di Davide e di Salomone con cui tutti hanno avuto a che fare nel coso della storia. Adesso con questo gesto il ​presidente americano stabilisce una verità di fatto che già tutti sapevano e che, nonostante sia davanti agli occhi del mondo, si continua a negare. Con questa base si può costruire una pace, senza una base veritiera non si va avanti.

Alle celebrazioni per l’apertura dell’ambasciata, però, l’Europa è stata abbastanza assente. Sono stati solo quattro (Austria, Romania, Repubblica Ceca e Ungheria) gli Stati che hanno preso parte alla cerimonia inviando la propria delegazione di diplomatici. Perché, secondo lei?

L’Europa ha un problema con Israele che palesa continuamente e che è legato a tutta una serie di pregiudizi di carattere ideologico e di interessi specifici. Innanzitutto, perché ha avuto sempre paura del mondo arabo, del terrorismo, della rottura degli affari petroliferi con il mondo islamico e con il mondo musulmano. È vittima di quella eredità ideologica da Guerra Fredda per cui esistono delle maggioranze automatiche che votano sempre contro Israele. Ha una difficoltà enorme con quello che Israele è, uno Stato ​nazione formato da un popolo in cui c’è non solo una sede, come tutti i Paesi che hanno fondato uno Stato, ma anche un’ispirazione di carattere religioso. Una nazione che per contrastare i nemici che la attaccano in continuazione ha saputo formare un sistema difensivo importante, vittorioso. Questo l’Europa non lo può sopportare, va contro tutte le sue ideologie post Seconda Guerra Mondiale. Inoltre, la figura della Mogherini, con il suo sostegno al rapporto con l’Iran​,​ è diventata addirittura un po’ patetica se posso essere sincera.

Mentre a Gerusalemme si festeggiava, nello stesso tempo a Gaza la tensione ha portato a un forte scontro che ha causato ​numerose vittime civili.

Questa è una strategia che nasce molto tempo fa che ha sempre avuto un fine distruttivo nei confronti dello Stato di Israele. Si collega, inoltre, alla giornata odierna, un giorno che i palestinesi chiamano della Nakba, ovvero il giorno dell’istituzione dello stato di Israele e che i palestinesi ritengono come la loro Shoah. E proprio in questa giornata corrisponde la loro determinazione a distruggere Israele. Questo vale sia per il frangente più moderato che per quello di Hamas, educato a un odio senza spiragli e che non prevede la pace. Hamas, che ha organizzato una società integralista islamica miserrima investendo tutti i suoi denari nelle sue milizie, scaraventa, anche a pagamento, la sua gente sul confine di Israele sapendo benissimo che questo agli occhi chi legge i giornali appare come una manifestazione, quando invece si tratta del tentativo di effrazione del confine. Nel suo modus operandi anti-israeliano non c’è nessun pensiero per il suo popolo, per il suo sviluppo, per la sua salute, per la sua mortalità infantile, portandolo, così, ad uno stadio di disperazione. L’uso della popolazione di Gaza, quindi, a cui naturalmente vengono dati dei comandi, è funzionale a sollevare la solidarietà internazionale. Questo è lo stato delle cose, molto imbarazzante e difficile per tutti ma Israele non ha colpa se non quella di difendersi.

Si può dire a questo punto, considerando le reazioni internazionali che si sono succedute nelle ultime ore, che la strategia di cui lei parla ha ottenuto l’effetto sperato. Per esempio, la Turchia attraverso le dure parole di Erdogan, ha parlato di Israele come di uno Stato di terrorismo e ha richiamato l’ambasciatore per delle consultazioni.

In realtà io sono contenta che Erdogan abbia richiamato l’ambasciatore perché con questa sua totale solidarietà per i palestinesi senza nessun distinguo ha fatto capire che, com’è nella sua indole, si tratta di una scelta estremista e violenta.

Tra gli altri, anche l’Egitto, la Giordania e Bin Salman dall’Arabia Saudita hanno “denunciato” il massacro avvenuto a Gaza

Non come Erdogan. Quando il bilancio è così tragico​,​ è normale che si riscuota la solidarietà internazionale ma l’Egitto​ e l’Arabia Saudita sanno perfettamente chi è Hamas. Sanno che prende i soldi dal​ regime del​l’Iran e proprio l’Egitto ieri ha fatto pressione sui palestinesi perché la situazione rientri. Vedremo cosa accadrà.

 

Libro Fiamma Nirenstein "In Israele"

 

 

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in allegato con Il Giornale dal 14 maggio

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