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La nuova era dello spazio sarà riutilizzabile. Tra gli sforzi visionari di miliardari imprenditori come Elon Musk e Jeff Bezos, e il crescente ruolo dei privati oltre l’atmosfera, la reusability sarà probabilmente la vera chiave di volta delle future attività spaziali, con effetti dirompenti su costi di lancio e sulle tecnologie. La sfida riguarda anche il Vecchio continente.

UNA QUESTIONE DI COSTI

“L’ascesa dei razzi reusable è una rivoluzione paragonabile all’invenzione della vela o del motore a vapore: cambierà tutto”, ha scritto su Stratfor Rod D. Martin, imprenditore americano considerato “un guru del tech” da Fox Business e un “filosofo capitalista” dal Guardian. La prima evidenza di una simile rivoluzione è abbastanza intuitiva e riguarda i costi. Poter riutilizzare lo stesso razzo per più lanci permette un notevole risparmio di risorse, specialmente per vettori particolarmente sofisticati con costi di produzione elevati. “Si pensi al trasporto aereo – ha detto Martin – se le compagnie aeree dovessero costruire un nuovo aeroplano per ogni volo, il prezzo di un biglietto di andata si aggirerebbe intorno ai 500mila dollari”. D’altronde, ricorda ancora l’esperto americano, “mettere in moto un sistema di lancio standard della Nasa Atlas V costa fino a 150 milioni di dollari ogni volta”. Proprio questi numeri hanno spinto il visionario Elon Musk a puntare sulla reusability. In passato, l’australiano ha annunciato di vole portare il costo per singolo lancio a 700mila dollari. “Ciò significa – nota Martin – che in dieci anni, aziende private come SpaceX e Blue Origin di Jeff Bezos, potrebbero essere in grado di mettere in scena 214 lanci per il prezzo di un singolo lancio odierno della Nasa”.

IL RUOLO DI SPACEX

A trainare la rivoluzione della reusability sono proprio queste due aziende. Per SpaceX ha di recente debuttato il Falcon Heavy, il super lanciatore pesante che vuole conquistare il mercato dei viaggi umani spaziali (diretti verso la Stazione orbitante, la Luna, fino a Marte). In occasione del suo battesimo dell’aria, l’azienda è riuscita a recuperare due dei tre booster del primo stadio (ciascuno dei quali montava 9 motori). Lo stesso recupero non è stato tentato invece nell’ultimo lancio del Falcon 9, con quello con cui Musk, ieri, ha mandato in orbita (oltre al satellite radar spagnolo Paz) due satelliti dimostrativi della costellazione Starlink, un altro progetto visionario che ha l’obiettivo di fornire connessione con banda ultralarga a tutto il Pianeta. Per quest’ultimo lancio, l’attenzione era tutta per il payload, ma SpaceX ha parallelamente tentato un altro recupero, non del primo stadio, ma della carenatura che avvolge e protegge il carico verso l’orbita. Il recupero doveva avvenire in mare, attraverso il ricorso a un parafoil (una sorta di paracadute) e a grandi reti. La carena ha però mancato il bersaglio di poche centinaia di metri. È probabile, come ha già promesso su Twitter, che Musk riesca a raddrizzare il tiro per la prossima volta, assicurandosi un altro risparmio (di circa 6 milioni di dollari).

IL RAPPORTO TRA PUBBLICO E PRIVATO

Come dimostra SpaceX, a fare la differenza nella nuova era della reusability è la capacità di investire in innovazione, spesso in sogni ritenuti addirittura utopistici come lo erano fino a qualche anno fa i progetti di Bezos e Musk. Nell’odierno spazio commerciale non si può però pensare che a farlo siano i singoli governi, il cui ruolo dovrebbe piuttosto essere quello di creare solide partnership con il settore privato, nota Martin. Pur di fronte a un richiesta di budget da 19,9 miliardi di dollari per il 2019, la Nasa non ha le capacità per dedicare allo sviluppo di lanciatori le risorse dei colossi privati. “Contratti ben strutturati con le aziende private sono necessari anche da un punto di vista conservativo, per fornire al governo beni e servizi vitali che altrimenti dovrebbe assicurarsi da solo”. Si tratta, aggiunge l’esperto e fondatore di The Martin Organization, “di un sistema più efficiente e più facilitatore di concorrenza e innovazione di quanto non lo sarebbe la nazionalizzazione dell’intera industria”. D’altronde, la stessa SpaceX è stata supportata dalle partnership con il governo Usa in iniziative come Commercial Orbit Transportation Services (per il trasporto di cose e persone sull’Iss) e Commercial Resuply Services (sempre per la Stazione spaziale).

LA VIA INTRAPRESA DALL’AMMINISTRAZIONE TRUMP

Ora, l’amministrazione Trump sembra aver rinnovato tale approccio. I progetti di commercializzare interamente le orbite basse e di privatizzare anche la Stazione spaziale internazionale (Iss) non fanno che confermarlo. L’input è arrivato anche dalla seconda riunione del Nation space council (Nsc), l’organo re-introdotto da Trump per una gestione coordinata e istituzionalmente elevata (a livello di vice presidente) della politica spaziale. Solo pochi giorni fa, dalla riunione di Cape Canaveral dell’Nsc sono arrivate le nuove raccomandazioni per la regulatory reform che mira ad agevolare il processo di acquisizione per le licenze di lancio, e ad adattare il sistema di governo spaziale alle velocità (decisamente maggiori) dell’industria privata.

IL MERCATO EUROPEO E IL RUOLO ITALIANO

La sfida lanciata da SpaceX sui lanciatori riguarda anche il Vecchio continente. L’attuala famiglia di vettori europei conta l’Ariane 5 e il più piccolo Vega, il gioiello italiano costruito da Avio. Proprio ieri, l’azienda di Colleferro ha annunciato la firma, insieme a Europropulsion (joint venture con ASL) del contratto di fornitura per l’ultimo lotto di produzione di Ariane 5, per un valore di oltre 100 milioni. Nel 2023, infatti, il vettore sarà sostituito da Ariane 6, mentre per Vega Avio (che partecipa anche all’Ariane) è già a lavoro per le nuove versioni: C (il cui lancio di qualifica è programmato per metà 2019) eda E (per il quale sono iniziate le attività di studio preliminare). Eppure la sfida della reusability obbliga a pensare già al dopo, sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista tecnologico. Pochi mesi fa è stato il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire ad evidenziare le criticità su entrambi i fronti. Come notato dall’ingegnere aeronautico ed esperto aerospaziale Marcello Spagnulo sull’ultimo numero di Airpress, il monito del ministro francese (seguito da un forte eco mediatico soprattutto in patria) “è che Ariane 6 va completato ma, poiché potrebbe non avere una lunga aspettativa di vita, occorre da subito concepire un Ariane Next che coniugi, per dirla alla francese, sia una rupture technologique, sia una rentabilité économique“. Nel dibattito che in Europa riguarderà questo aspetto, l’Italia potrà giocarsi le proprie carte: la leadership di Avio nel segmento, e la nuova governance spaziale che, dopo l’approvazione della legge allo scadere di legislatura, attende ora la sua piena attuazione. A ciò si aggiunge un modello, quello della partnership tra pubblico e privato, che l’Italia ha già fatto suo. Il prossimo lunedì, l’Agenzia spaziale italiana (Asi), alla presenza del premier Paolo Gentiloni, aprirà ufficialmente le attività di Platino (Piattaforma spaziale ad alta tecnologia), il programma sviluppato con la società Sitale per lo sviluppo di una piattaforma versatile e compatta per mini satelliti di meno di duecento chili (un altro mercato in rapidissima ascesa nella nuova era dello spazio).

QUALE REUSABILITY?

Se non ci sono dubbi sul fatto che la reusability sia il futuro dei lanci spaziali, restano però alcune perplessità sul modello promosso proprio da Musk. In occasione del debutto del Falcon Heavy, era stato Roberto Vittori astronauta dell’Agenzia spaziale europea (Esa), attualmente space attaché presso l’Ambasciata italiana negli Stati Uniti, con alle spalle ben tre viaggi a bordo dell’Iss, a evidenziare una certa discrepanza tra obiettivi e progetti: “Non credo a questa soluzione tecnologica di Musk, seppur geniale. Un primo stadio che usa combustibile per andare ma anche per tornare indietro è una contraddizione in termini che non sfrutta a pieno la gravità; è una soluzione funzionante ma non efficiente, e non rappresenta il futuro”. Reusable, aveva aggiunto Vittori, “è un lanciatore che possa atterrare e ripartire, ma quella di Musk è un’altra cosa”. SpaceX, infatti, “recupera i primi stadi che non sono riutilizzabili prima di essere rimandati in fabbrica, smontati, e poi riassemblati: una cosa diversa rispetto a uno spazioplano che atterra, rifornisce e riparte”. La differenza è tra “reusable, cioè riutilizzabile, e refurbishable, ovvero ripristinabile”. Così, “il futuro della riusabilità ruota attorno alle tecnologie di Virgin Galactic e in particolare allo SpaceShipTwo che decolla e atterra su pista”. La tecnologia di Musk sembra dunque adatta ai viaggi interplanetari, in particolare in vista di una spedizione su Marte, ma non convince pianamente per le orbite basse. In tale contesto risulta più adatta la soluzione dello spazioplano suborbitale riutilizzabile di Virgin Galactic, comunque altra esponente della nuova space economy, tutta commerciale. Sullo SpaceShipTwo ha puntato anche l’Agenzia spaziale italiana (Asi) che, dopo la Nasa, è stata la prima ad assicurarsi un volo per ricerche scientifiche.

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