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È appena tornato da Pyongyang, dove ha incontrato Kim Jong-un e discusso con lui dei preparativi per il summit Trump-Kim in programma il 12 giugno a Singapore. Ma il Segretario di Stato Mike Pompeo si trova ora sulla scrivania un altro dossier delicato da seguire: l’Iran deal.

Martedì Donald Trump ha dichiarato l’uscita degli Stati Uniti da quello che definisce un accordo “orribile” e stabilito la reintroduzione di sanzioni verso Teheran. L’obiettivo della Casa Bianca sembra essere quello di costringere l’Iran, sotto la spinta delle sanzioni, a tornare al tavolo e a negoziare un nuovo accordo che tenga conto delle principali preoccupazioni degli Stati Uniti, vale a dire la scadenza ravvicinata del deal, il programma balistico dell’Iran e il suo avventurismo in Medio Oriente. Mercoledì il presidente ha detto minacciosamente che l’Iran o negozierà con gli Usa oppure “accadrà qualcosa”.

Che l’intenzione americana sia quella di costringere gli iraniani a firmare un nuovo accordo lo confermano anche le parole di uno degli uomini dell’amministrazione Trump che fino all’ultimo ha difeso la bontà del Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), come è chiamato l’accordo nucleare: il segretario alla Difesa James Mattis. “Ora abbiamo l’opportunità”, ha detto Mattis, “di andare avanti ad affrontare quei difetti” che gli Usa hanno riscontrato nel Jcpoa “e rendere il tutto più cogente”.

Il compito di portare avanti questa complessa pratica ricade sul Dipartimento di Stato di Pompeo. Un cui alto funzionario ha dichiarato a Reuters che sono già in corso discussioni con Gran Bretagna, Francia, Germania, Giappone, Iraq e Israele. “Ci sarà uno sforzo di affrontare globalmente” il problema, ha detto il funzionario, “e parlare con i nostri partner in giro per il mondo che condividono i nostri interessi”. “La composizione di ciò che accadrà quando ci siederemo al tavolo con gli iraniani è già diverse fasi avanti”, ha aggiunto il funzionario, che sottolinea come ad impegnarsi in questa fase per l’America saranno, oltre a Pompeo, il suo capo negoziatore per l’Iran Brian Hook. “L’obiettivo”, ha aggiunto il funzionario, “è di raggiungere un punto in cui ci sediamo al tavolo con gli iraniani e negoziamo un nuovo accordo”.

Rimane da capire come si comporteranno gli europei. In questi mesi, hanno difeso strenuamente il Jcpoa e fatto pressione su Washington affinché non si ritirasse dall’accordo. Ultimamente, su iniziativa del presidente francese Emmanuel Macron e della cancelliera Angela Merkel, si sono dichiarati disponibili a prendere in considerazione degli “emendamenti” al Jcpoa per tenere conto delle preoccupazioni statunitensi. Ma da quando Donald Trump ha formalizzato l’uscita degli Usa dall’accordo, il principale cruccio da parte degli stati del Vecchio Continente è stato come tutelare le loro aziende che, da quando il Jcpoa è entrato in vigore, sono rientrate nel mercato iraniano.

Trump ha dato 90 giorni di tempo alle imprese che fanno affari con Teheran di sospendere le proprie attività, incluso l’acquisto di forniture di petrolio, dopo di che entreranno in vigore le sanzioni Usa a cui sta lavorando il ministro del tesoro Steven Mnuchin. Le aziende europee in teoria potrebbero cercare delle esenzioni dal Tesoro Usa per continuare ad operare in Iran, ma è più probabile che alla fine la paura delle sanzioni americane e delle conseguenze cui le aziende andrebbero incontro in caso di violazione delle stesse prevarranno, e i ponti con l’Iran saranno tagliati.

Il vice assistente segretario del bureau per gli Affari del Vicino Oriente del Dipartimento di Stato Andrew Peek ha riconosciuto che ci sono del “disaccordi tattici” tra gli europei e gli americani, ma è anche convinto che se ne potrà venire a capo. “Questo è un affare in cui cercheremo di persuadere, di sollecitare, di pungolare”, ha precisato Peek, che si dice ottimista sulla possibilità di raggiungere una sintonia tra le due sponde dell’Atlantico.

In effetti, in queste ore dall’Europa stanno giungendo segnali di disponibilità. Pur sostenendo la bontà del Jcpoa, Angela Merkel ha auspicato una discussione ampia affinché si possa giungere ad un “accordo più ampio che vada al di là” di quanto previsto dall’attuale accordo. Dal canto suo, il ministro degli esteri britannico Boris Johnson ha parlato di un possibile “follow-on agreement”, precisando che spetta agli americani porre le basi per la discussione.

Chi ha mostrato segni di irritazione è stato il ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian, per il quale “l’accordo non è morto. C’è un ritiro degli americani dall’accordo ma l’accordo è ancora lì. (…) La regione merita di meglio che ulteriore destabilizzazione provocata dal ritiro americano”. Significativo anche il commento piccato che il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire ha fatto in merito all’avviso che l’ambasciatore americano in Germania ha recapitato al governo di Berlino, sollecitando le imprese tedesche ad interrompere immediatamente le attività in Iran. Gli Stati Uniti, ha detto Le Maire, non dovrebbero considerarsi il “poliziotto economico” del mondo.

Le dure parole dei ministri di Macron sono controbilanciate però dall’atteggiamento del capo dell’Eliseo, che sembra disponibile a seguire la via tracciata dagli americani di un nuovo negoziato con l’Iran. Macron auspica una discussione a tutto tondo con tutte le parti in causa affinché si giunga ad una nuova intesa con Teheran che soddisfi l’irascibile Donald Trump.

Non servirà molto tempo per capire se i proponimenti americani poggiano su basi solide. La settimana prossima funzionari iraniani incontreranno le loro controparti di Gran Bretagna, Francia e Germania per capire come procedere in questo percorso ad ostacoli fortemente voluto dall’America di Donald Trump per mettere le briglie all’Iran.

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