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Sconcerto, irritazione, sorpresa. Questi i sentimenti prevalenti per le parole scelte da Matteo Salvini (leader della forza politica più votata all’interno dello schieramento arrivato primo alle elezioni di marzo con il 37 % dei voti, quindi candidato abbastanza naturale alla guida del governo) per criticare duramente l’azione militare nottetempo attuata da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna in Siria.

Talmente inattese quelle parole da suscitare reazioni forti, a cominciare da quella del principale alleato dello stesso Salvini, cioè Berlusconi, che, in buona sostanza, gli dice che avrebbe fatto meglio a tacere.

Se però le guardiamo in controluce quelle parole hanno poco a che fare con le vicende del Medio Oriente, dove peraltro l’Italia non conta molto pur avendo schierato oltre mille soldati nella missione Onu al confine tra Libano e Israele, cioè a poche decine di chilometri dalla Siria.

Salvini infatti parla solo apparentemente di fatti internazionali, poiché il suo vero obiettivo è l’agenda di politica italiana il suo vero interlocutore è il Presidente Mattarella, come proviamo a spiegare attraverso una sequenza di quattro fatti incontrovertibili.

Innanzitutto c’è lo stallo in cui si trovano le trattative per il governo, come dimostra l’inconcludente secondo giro di consultazioni al Quirinale. Inoltre c’è la precisa volontà del Capo dello Stato di fare un passo avanti, visto che siamo farmi alla situazione del 5 marzo, cioè all’indomani del voto. Questo passo avanti non può che prendere la forma di un incarico per la formazione del governo, in arrivo per i primi giorni della settimana (con quale formula resta da vedere).

Terzo e decisivo elemento è che, con ogni probabilità, tale incarico dovrebbe arrivare ad un esponente della coalizione di centro-destra, proprio in virtù dei risultati elettorali.

Infine, ci sono le esplicite parole del Presidente Mattarella, che non più tardi di venerdì collega esplicitamente le vicende siriane con la necessità di dare presto un governo al Paese.

Ecco allora in questo scenario arrivare con un “missile” proprio Salvini, che sceglie la polemica aperta con Usa, Francia e Gran Bretagna.

Così il leader della Lega finisce però totalmente fuori asse con l’intero sistema politico europeo e si fa bagnare il naso anche da Luigi Di Maio, che sceglie una linea di grande equilibrio “al fianco degli alleati”, capace di ottenere riconoscimenti anche da chi certo non ne è supporter naturale (Pierferdinando Casini, per fare un esempio autorevole).

Molti pensano che a Salvini è scappata la frizione, modo elegante per dire che ha sbagliato tempi e contenuto, finendo per collocarsi sull’asse Damasco-Teheran-Mosca che, peraltro, sta reagendo con grande sfoggio di fair play all’azione militare, segno inequivocabile di un accordo operativo tra Stati Maggiori nelle ore precedenti la partenza dei missili.

Però si può anche avanzare una seconda interpretazione, tutta legata ai fatti di casa nostra. È evidente che Salvini non vuole adesso alcun incarico per formare il governo, poiché sa benissimo che in questo momento non ci sono le condizioni per portarlo a Palazzo Chigi. Decide allora di mettersi “fuori campo” da solo, attraverso una dichiarazione che impedisce al Capo dello Stato anche soltanto di pensare a lui per quel ruolo.

Nel “sirtaki” che in queste ore si balla intorno al Quirinale, nulla può essere escluso dunque. Nemmeno il fatto che la parole di Salvini finiscano per aiutare ulteriormente il dialogo tra M5S e Pd, che molti segnalano intenso come non mai.

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