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L’atteso vertice di ieri ad Arcore si è concluso positivamente. Era infatti quanto mai necessario che i leader dei tre partiti del centrodestra si trovassero per stabilire dei punti fermi, in vista del riavvio delle consultazioni dei prossimi giorni. Non erano da attendersi né strappi, né fratture interne. Era però fondamentale ribadire l’unità della coalizione, soprattutto al fine di vanificare i tentativi fatti dal M5S di insidiarla dall’esterno. Non soltanto Matteo Salvini ha confermato agli alleati che non esiste alcuna ipotesi politica di governo che non muova i suoi passi dal centrodestra unito, ma ha escluso in modo perentorio che l’allargamento necessario per giungere ad una maggioranza possa prevedere un dialogo con il Pd. La palla torna pertanto ai 5Stelle, che però rilancia per mezzo del leader Di Maio che ha fatto sapere in un tweet che “la possibilità che il M5S vada al governo con Berlusconi è pari allo 0%”.

Su quest’ultimo punto le sensibilità tra Lega e Forza Italia non sono esattamente le stesse. Questo fatto è importante perché una forza politica che complessivamente raggiunge il 37 % non può essere un monolite, ma anzi è importante che abbia geometricamente una diversa calibrazione della propria soggettività.

Il punto non è, a ben vedere, la possibilità finale di risolvere positivamente un possibile contratto con i grillini, ma l’atteggiamento discriminatorio di Luigi Di Maio verso Silvio Berlusconi.
Qui si apre la vera partita che sarà al centro dei prossimi colloqui al Quirinale. In democrazia contano certamente i numeri, ma ancor più conta il modo in cui i numeri vengono unificati, tenuti insieme. Perciò dire che nel Centrodestra, poiché vi sono tre partiti, non vi è la stessa unità che il M5S ha da solo è un ragionamento equivalente allo zero, in termini strettamente politici.
Anzi, è quanto mai fondamentale in un assetto tripolare che non si finisca nel caos o nella paccottiglia tra eterogenei, cominciando proprio dal restare uniti ai propri simili, sperando che gli altri facciano lo stesso.

Dunque, logica vorrebbe che se i pentastellati volessero veramente fare un’alleanza di governo solida per poter andare a Palazzo Chigi guardassero positivamente alla compattezza del centrodestra: invece no, Di Maio ha ribadito di non essere disponibile, almeno per ora, ad allearsi con tutto il centrodestra perché Forza Italia, al contrario della Lega, sarebbe un partito della conservazione che non garantirebbe le riforme tanto sbandierate dai grillini.
Due domande sorgono spontanee: che significa riformare in questo discorso? E soprattutto perché, avendo Lega, FdI e FI lo stesso programma, con la Lega sarebbe possibile “riformare” mentre con FI no?

Non è facile capire il senso di questa idea se non collegandolo all’odio personale per Berlusconi. Quello che nondimeno emerge come fatto di partenza assodato è che la dialettica dei due forni del M5S non potrà beneficiare della possibilità che i possibili assi diventino adesso più di due. E se per le famigerate riforme dovesse essere ritenuto migliore allearsi con il Pd, che è esattamente il gruppo politico che rappresenta con il suo 18 % la forza di governo della scorsa Legislatura, l’operazione potrà essere fatta ma solo tenendo tutto il centrodestra all’opposizione. Il che costituirà per i grillini sicuramente il modo più rapido per tornare presto alle urne e magari perdere le elezioni. Al netto di tutto, e giustamente, il partito guidato provvisoriamente dal segretario reggente Martina, sebbene abbia all’interno diverse posizioni, non ha dato alcuna disponibilità al M5S che non sia quella di scambiare due chiacchiere di circostanza.

Il baricentro politico di questa legislatura è, pertanto, solo e soltanto il centrodestra. Unito com’è, infatti, ha la maggioranza relativa e i 5 Stelle potranno solo scegliere se impedire o permettere la nascita di un governo. Anche perché la chiusura di Salvini e Meloni alla sinistra non autorizza alcun diverso tipo di percorso istituzionale, ad esempio di larghe intese o con figure metapolitiche.
Dopo Arcore, insomma, non restano in campo che due ipotesi: un governo politico centrodestra-M5S, oppure un governo di minoranza di centrodestra che ci faccia tornare rapidamente a votare dopo aver ritoccato la legge elettorale con un più netto premio di maggioranza.
Dato e concesso che Di Maio ha fatto sapere in un tweet che “la possibilità che il M5S vada al governo con Berlusconi è pari allo 0%”, allora è chiaro che non vi sarà altra possibilità che un governo di minoranza con una corsa rapida verso le urne.

L’unità del centrodestra, infatti, è un investimento per il futuro della nazione, mentre il veto grillino verso Forza Italia rivela l’irriducibilità di un progetto originariamente antipolitico a divenire autenticamente democratico, uscendo dalla schematica ossessione del nemico da abbattere.

Dopo il vertice di Arcore, Di Maio ripassa la palla a Salvini

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