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L’intelligence svizzera ha fatto sapere al quotidiano NZZ, tramite quelle spifferate che servono a diffondere informazioni, che sta rilevando costanti attacchi informatici provenienti dalla Cina ai danni di politici, ricercatori, imprenditori. Il metodo che la Svizzera denuncia è noto: account fasulli richiedono il contatto via LinkedIn e poi cercano di creare network di collaborazione per sfruttarli a proprio interesse.

Un esempio: account fake con nomi come Rachel Li o Lily Hu cercano tramite LinkedIn (social network che ha come fine la creazione di una rete professionale di conoscenze e contatti) di invitare le persone contattate a trasferire i propri know-how in Cina. È la somma della Human Intelligence, quella creata sui rapporti inter-personali, e il cyber warfare, lo scenario cibernetico e digitale: si sfruttano le possibilità del web 2.0 per costruire finte relazioni come forma di spionaggio. Le richieste di informazioni, secondo l’articolo svizzero, sono state anche accompagnate da offerte economiche oppure da cortesi inviti per partecipare a seminari e convegni in Cina a spese dell’ospite invitante.

“Il servizio di informazioni federali è a conoscenza dei tentativi da parte delle agenzie di intelligence cinesi di reclutare informatori attraverso piattaforme come LinkedIn”, ha detto la portavoce dell’intelligence Isabelle Graber all’NZZ: “Possono essere parlamentari, impiegati statali e personale dell’esercito, ma anche impiegati delle banche, accademici e personale dell’istituto di ricerca”.

Se l’accusa svizzera non suona nuova è perché a metà dicembre ne era stata alzata una identica da parte del BfV, l’intelligence federale tedesca. In quel caso Berlino aveva parlato di centinaia di tentativi di spionaggio catalogati e seguiti, tutti effettuati tramite “il metodo-LinkedIn”. La Germania aveva avvisato che gli account fake che cercano di carpire informazioni attraverso il social network californiano stanno lavorando in tutta Europa.

Due mesi fa la Cina aveva definito “ironica” l’accusa tedesca, perché non basata su prove concrete; piuttosto, dicevano da Pechino, sembra che la Germania, come già altri Paesi (esempio, scriveva il China Daily Usa, gli Stati Uniti), stia cercando un capro espiatorio da incolpare per ogni genere di attacco hacker subito dalle sue strutture insufficientemente protette. L’ironia è, secondo i cinesi, che dalle rivelazioni di Edward Snowden sembra che a colpire con hacking Berlino sia stata proprio Washington: il BfV “farebbe bene a iniziare le sue indagini chiedendo ai militari americani”, dei quali “anche la Cina è vittima”.

Da diverso tempo è però noto che la Cina ha spostato sugli spazi virtuali come i social network il suo spionaggio a mosaico, una tecnica nota come “mille granelli di sabbia” (o “l’onda umana”), con cui raccoglie informazioni anche di piccolo interesse, che diventano però tasselli per chiudere il classico puzzle più ampio.

 

balcani cina

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