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“Per sfruttare al meglio l’immenso potenziale energetico del Mediterraneo orientale è necessario sviluppare un clima di fiducia e cooperazione tra tutti gli attori coinvolti. Oggi, tuttavia, vi sono diversi temi, non prettamente legati al tema dell’energia, che stanno remando in direzione contraria”. Così Ian Lesser, vice presidente del German Marshall Fund a Bruxelles, ha commentato con Formiche.net lo scenario geo-energetico che coinvolge acque dell’est del Mediterraneo.

Il Mediterraneo orientale è ormai un’area chiave per l’approvvigionamento energetico dell’Europa. L’interesse per l’area è infatti aumentato esponenzialmente tra il 2009 e il 2011, grazie alla scoperta di tre grandi giacimenti di gas. Tamar e Leviathan, al largo delle coste di Israele e Aphrodite, in piena zona economica esclusiva di Cipro, con un potenziale energetico che gli esperti stimano attorno ai 1000 miliardi di metri cubici. Nel 2015, lo scenario si è fatto ancora più interessante, grazie alla scoperta del giacimento Zohr al largo delle coste egiziane, il più grande giacimento di gas mai rinvenuto nelle acque del Mediterraneo.

L’Ue, che avrebbe tutto da guadagnare da questi sviluppi, se non altro per limitare la sua dipendenza dall’export russo, sta trovando non poche difficoltà a sfruttare tale potenziale. Eppure le opzioni di export non mancherebbero, sia attraverso l’uso di gasdotti che passerebbero verso la Turchia o la Grecia, oppure grazie alla creazione di impianti Gnl nella stessa Cipro, o in Israele ed Egitto. Le speranze di coloro che auspicavano che la scoperta della ricchezza energetica della regione sarebbe presto stata seguita da una nuova era di stabilità politica si sono dovuti ricredere. Emblematico in questo senso è stato l’episodio della nave Saipem 12000 noleggiata da Eni e bloccata nei pressi della costa sudorientale di Cipro dalla marina militare di Ankara per le solite rivendicazioni turche nel mar Egeo, mentre, come da accordi presi con Nicosia,  era diretta verso l’area designata per le sue perforazioni.

Secondo Lesser, “la situazione ideale è certamente che tutte queste dispute siano risolte, – tuttavia, ha ammesso l’esperto – è molto difficile che ciò accada, almeno nel breve periodo”. Il problema, “è la presenza, non solo ad Ankara, di nazionalismi esasperati, e le rivendicazioni confliggenti di sovranità”. Questi infatti, “rendono molto difficile per gli attori internazionali sviluppare dei progetti energetici coerenti che richiedono inevitabilmente l’impiego di ingenti risorse finanziarie e si sviluppano in un arco di tempo piuttosto lungo”.

Interrogato sul progetto dell’Unione Energetica e su come esso potrebbe contribuire alla sicurezza energetica del continente europeo, il vicepresidente del Marshall Fund si mostra piuttosto scettico. Tuttavia, precisa, “sarebbe molto importante per l’Europa sviluppare un approccio più coerente e più strategico alle politiche energetiche”.

La riflessione di Lesser invita anche a guardare oltre i confini europei, “la sicurezza e il destino energetico europeo sono e saranno sempre di più determinati dagli sviluppi nei mercati energetici globali”. Soprattutto, ci spiega, occorre osservare con grande attenzione ciò che accade sull’altra sponda dell’Atlantico, “l’affermazione degli Usa come uno dei maggiori player energetici ed esportatori globali di gas naturale ha dei risvolti geo-energetici molto importanti per l’Europa”. Infatti, il mercato americano, nel medio periodo, “potrebbe contribuire in maniera determinante a diminuire il peso degli export russi nell’equazione energetica europea”.

Se per quanto riguarda la Russia i Paesi europei potranno trovare una sponda in Washington, lo stesso difficilmente accadrà per la relazione con Ankara. Bruxelles dovrà cavarsela da sola, perché, spiega Lesser, “le relazioni dell’Ue con al Turchia sono molto più diversificate di quelle degli Usa, perché includono il tema della diaspora turca in Europa, i migranti e le questioni economiche”. L’ampiezza dell’agenda europea nei confronti della Turchia, non è paragonabile alla relazione turco-statunitense, che si basa prevalentemente su difesa e sicurezza, e si svolge quasi esclusivamente in ambito Nato. Tutto ciò, avverte l’analista, “rende complicato sviluppare una strategia comune nei confronti della Turchia”.

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L’Occidente e il rebus Turchia nel Mediterraneo. La versione di Ian Lesser

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