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Le differenze in casa centrodestra ci sono. Così come ci sono (tanti) screzi che rischiano, a lungo andare, di erodere quel tesoretto di consenso di cui ancora gode l’esecutivo. È la stessa premier, Giorgia Meloni a ridimensionare la portata delle “punture” che con cadenza ormai quasi quotidiana i due vice, Antonio Tajani e Matteo Salvini, si dispensano vicendevolmente. Per l’opposizione, tuttavia, è presto per cantare vittoria e per sperare in una situazione analoga a quella francese. Perché, come riflette su Formiche.net il politologo Marco Tarchi “la costrizione a stare assieme al governo durerà”.

Professor Tarchi, Meloni alla convention di Noi Moderati sintetizza con “anime diverse ma coesi” gli strali che caratterizzano le ultime settimane della maggioranza. Cosa nascondono le divisioni della maggioranza? 

La coesione è, ovviamente e inevitabilmente, di facciata. Le divergenze su molti temi ci sono e sono in crescita, soprattutto per il tentativo di Forza Italia di guadagnarsi una visibilità tale da attrarre una parte di quell’elettorato centrista che finora le è rimasto estraneo – e magari anche qualche altro esponente del fronte ipoteticamente avverso, avvalendosi del “ponte” di Noi Moderati. Ma fino a quando gli schieramenti parlamentari rimarranno più o meno intatti, la costrizione a stare assieme al governo durerà.

La maggioranza in Ue che sostiene Ursula adesso si è alleata, di fatto, con i conservatori. Però uno dei due vicepremier rappresenta un partito che appartiene ai Patrioti, che sono all’opposizione. Quanto potrà durare questa discrasia tra Italia e Ue? 

Per le ragioni a cui ho appena fatto cenno, non vedo alcun rischio – almeno da questo punto di vista – nell’arco della presente legislatura. E non è neanche detto che, nel Parlamento europeo, la consistenza dei vari gruppi “sovranisti” rimanga immutata: come si è visto, in quell’area composita i cambiamenti di collocazione sono più la regola che l’eccezione, e dipendono in buona parte dalle sorti di ciascun partito nel proprio paese: chi riesce ad andare il governo vuol dare un’immagine più moderata e si sposta verso i conservatori, chi è ricacciato o mantenuto all’opposizione vuole apparire più “di lotta” e va con i Patrioti o con il gruppo guidato dall’AfD.

Foti subentra al ruolo che prima è stato di Raffaele Fitto. Su quest’ultimo, c’è stato un lavoro politico notevole in particolare della premier Meloni per la vicepresidenza esecutiva. Come, questo incarico, potrà giovare all’Italia intrecciando l’agenda politica europea? 

Dipenderà dai dossier che gli verranno concretamente affidati. Per adesso è un successo di immagine. Per valutarne le ricadute concrete occorre tempo.

L’agenda degli incontri internazionali della premier è parecchio fitta. Da Orban a Barnier, finendo proprio per Fitto. Come si sta posizionando l’Italia sul piano internazionale sui principali dossier, a partire dalla gestione dei conflitti? 

Barnier rischia di essere un interlocutore effimero. Quanto alla gestione dei conflitti, l’Italia insiste a seguire la Commissione europea nella sua infruttuosa politica di allineamento agli interessi e alla volontà della Nato e degli Stati Uniti e non penso che se ne distaccherà, perché l’ultra-atlantismo rimane per Meloni un elemento-chiave della sua strategia di legittimazione come politica “a-fascista”.

Nello scenario globale come inciderà e come cambieranno gli assetti all’indomani dell’inserimento del presidente Usa, Donald Trump?

Data la notoria imprevedibilità del personaggio, qualunque previsione sarebbe azzardata. L’unico dato certo è che, con la sua politica dei dazi, i paesi europei ci rimetteranno, e non poco.

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Sul piano interno la coesione tra le forze di governo è per lo più di facciata, ma finché il sistema parlamentare rimarrà così non ci sono rischi per la tenuta dell’esecutivo. Dal punto di vista della politica estera, per Meloni l’ultra-atlantismo è un elemento di legittimazione, ma la politica dei dazi annunciata da Trump peserà sull’Europa. Colloquio con il politologo Marco Tarchi

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