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Il “contrordine, compagni” dato da Eugenio Scalfari in un intervento straordinario, feriale anziché festivo, sulla sua Repubblica di carta perché i lettori non prendessero sul serio la preferenza elettorale da lui espressa in televisione per Silvio Berlusconi in funzione antigrillina, non placherà di certo l’offensiva editoriale e politica de Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio. Che, pur avendo appreso dal condirettore di Repubblica Tommaso Cerno, ospite di Corrado Formigli a Piazza pulita, l’arrivo del contrordine del fondatore del giornale, è tornato a trattarlo come imputato. Egli ha infatti sparato in prima pagina una raffica di pareri più o meno autorevoli contro quello che ha continuato a chiamare “l’endorsement di Scalfari pro Caimano”.

D’altronde, neppure nella versione corretta dall’intervento feriale, deciso di fronte al diluvio di telefonate di protesta abbattutosi sul suo giornale fresco di costosissima rivoluzione anche grafica, la linea di Scalfari può andar bene al Fatto Quotidiano. Per il quale un voto confermato al Pd di Matteo Renzi, qual è quello annunciato dal fondatore di Repubblica dopo “l’inganno” dell’invito a scegliere fra Berlusconi e il candidato grillino a Palazzo Chigi Luigi Di Maio, vale quanto il voto all’uomo di Arcore.

Il “non voterò mai Berlusconi” promesso da Scalfari, in sintonia con Cerno, Michele Serra e tanti altri di Repubblica, non vale niente agli occhi di Travaglio e amici quando è accompagnato alla benedizione di un’intesa post-elettorale di governo fra Renzi e Berlusconi in funzione antigrillina. Un’intesa poi chissà perché “non politica”, come ha precisato Scalfari confondendo il governo o la maggioranza per qualche confraternita religiosa. E comunque condizionata – ha aggiunto il fondatore di Repubblica – da una “separazione” di Berlusconi dall’alleato elettorale Matteo Salvini. Il quale, dal canto suo, per dimostrare come meglio non si poteva quanto confuse e infide siano le acque del centrodestra, ha avvertito che prima delle elezioni Berlusconi dovrà andare con lui e con la sorella dei Fratelli d’Italia Giorgia Meloni da un notaio per garantire che non farà poi accordi con Renzi. Sennò non basteranno al presidente di Forza Italia i soldi incassati vendendo il caro Milan per pagare i danni che gli chiederanno in giudizio la Lega e la formazione post-missina dell’ex ministra della gioventù.

Fatti i conti, questa volta politici e non monetari, la pezza messa da Scalfari col suo “contrordine, compagni” è stata peggiore del buco della prima sortita agli occhi di grillini e scissionisti del Pd, che costituiscono il pubblico di riferimento del giornale di Travaglio, al netto dell’arrivo, fra i secondi, del presidente del Senato Pietro Grasso. Al quale Travaglio continua a non perdonare di avere a suo tempo scalato la Procura nazionale antimafia in groppa ad una legge-cavallo fornitagli da un allora governo Berlusconi per impedire la vittoria a Gian Carlo Caselli. Che onora della sua firma, non a caso, il Fatto Quotidiano.

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La guerra di carta fra Scalfari e Travaglio su Berlusconi, Di Maio e Renzi

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