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Alla fine Donald Trump e Vladimir Putin – ambedue presenti al vertice Apec di Da Nang in Vietnam – si sono parlati. Superando le reticenze dei rispettivi staff, che fino a venerdì avevano negato che sarebbe successo. Ma la volontà dei due leader ha avuto la meglio sul protocollo e sulle numerose controversie che dividono Stati Uniti e Russia. Ne è scaturita una dichiarazione congiunta, seppur vaga, e materiale abbondante per accendere la polemica in America, dove il clima è surriscaldato dall’indagine sul Russiagate, che ha portato la relazione tra i due Paesi al minimo storico. Una situazione cui però i due presidenti non intendono rassegnarsi. Perché, è la loro convinzione, parlarsi conviene ad entrambi. Troppi infatti i dossier comuni – dalla Siria alla Corea del Nord – per rinunciare ad un confronto che può partorire risultati utili.

È stato un “buon incontro”, si legge nella dichiarazione rilasciata dai team dei due presidenti. Nella quale si parla dell’opportunità di intraprendere sforzi comuni sulla Siria, grazie ai quali si “salveranno migliaia di vite”. Russia e Stati Uniti sono ambedue impegnati, su fronti contrapposti, sui campi di battaglia: la prima sostiene Bashar al Assad, i secondi i curdi che ad ottobre hanno liberato Raqqa, la capitale dello Stato islamico. Ora che il nemico comune sta venendo meno, è necessario evitare che i due schieramenti si scontrino inutilmente, come è probabile in assenza di un accordo generale sul futuro della Siria. Da cui l’auspicio, ribadito nella dichiarazione, che i colloqui Onu di Ginevra sortiscano dei risultati. Più facile a dirsi che a farsi, però: il futuro di Assad è il motivo per cui la Russia ha deciso di intervenire nella guerra civile, mentre gli Usa hanno appoggiato i ribelli. E se è vero che Trump, poco dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, ha cancellato il programma di assistenza militare alle forze dell’opposizione, bisogna ricordare che ad aprile, quando i governativi hanno usato armi chimiche contro i civili di Khan Shaykoun, il presidente Usa non ha esitato a usare missili Scud come rappresaglia. Senza un’intesa sul destino del presidente siriano, i motivi di divisione prevarranno sugli obiettivi comuni, sempre che ci siano.

Se c’è qualcosa che oggi divide Russia e Stati Uniti è però il Russiagate, la complessa indagine portata avanti dal procuratore speciale Robert Mueller che ha già prodotto arresti eccellenti in seno ai collaboratori di Trump, nella fattispecie il manager della campagna elettorale Paul Manafort e il suo vice Rick Gates. Il sospetto di una collusione tra i sostenitori di Trump e il Cremlino per favorire la vittoria alle urne del tycoon acquista solidità ogni giorno che passa, mentre le agenzie di intelligence Usa sono da tempo convinte che Putin abbia intrapreso un elaborato sforzo per interferire nel processo elettorale, con mezzi subdoli e articolati come la manipolazione dei social network. In tempi normali, un simile tentativo avrebbe condannato all’irrilevanza il bon ton tra i due capi di Stato. Ma con Trump alla Casa Bianca, il concetto di normalità è diventato relativo. E così, nei colloqui informali col suo collega russo a Da Nang, il magnate ha ribadito l’intenzione di coltivare un buon rapporto personale, nella convinzione che sia buona cosa per i rispettivi paesi.

Non che si sia astenuto dal chiedere delucidazioni all’amico Putin sulle sue presunte malefatte in campagna elettorale. Come ha confermato ai reporter a bordo dell’Air Force One durante il tragitto che l’ha portato nella capitale vietnamita, Trump ha detto di aver chiesto esplicitamente conto al presidente russo. Sentendosi rispondere che sono tutte illazioni. “Glielo puoi chiedere tutte le volte che vuoi”, ha riferito Trump. “Gliel’ho chiesto un’altra volta. Ha detto che non ha assolutamente interferito nelle nostre elezioni. Non ha fatto quel che dicono che ha fatto”. Trump è assolutamente convinto, lo ha ripetuto varie volte, che il Russiagate sia il parto della fantasia dei suoi oppositori, oltre che di quello “Stato profondo” che si oppone fermamente ad essere guidato da un uomo non convenzionale come lui. Poco importa che Cia, Fbi, National Security Agency e National Intelligence la pensino diversamente. Per Trump, il Russiagate è semplicemente un ostacolo al suo tentativo di rilanciare le relazioni tra Russia e Stati Uniti. “Io credo che si senta insultato da questo”, dice infatti il presidente riferendosi all’amico Putin, “e ciò non è una buona cosa per il nostro paese”.

In patria, le dichiarazioni di Trump sono accolte con stupore e rabbia. Il deputato Adam Schiff, membro della Commissione Intelligence della Camera dei Rappresentanti, si sfoga su Twitter: “Lo sa, signor presidente, chi altri si senta insultato da questo? Il popolo americano”. “Lei crede ad un avversario straniero e non alle nostre agenzie di intelligence”, aggiunge il congressman. Ad intervenire è anche un senatore dalla reputazione integerrima come John McCain: “Non c’è niente di America First nel credere alle parole di un colonnello del Kgb piuttosto che a quelle della comunità dell’intelligence Usa”.

Com’è suo costume, Trump non si astiene dal replicare, usando la piattaforma preferita, Twitter, per chiedersi: “Quando tutti gli odiatori e sciocchi si renderanno conto che avere buone relazioni con la Russia è una buona cosa, non una cosa cattiva (?). Fanno sempre politica, una cosa pessima per il nostro paese. Io voglio risolvere i problemi di Corea del Nord, Siria, Ucraina, terrorismo, e la Russia può aiutarci molto!”.

Putin, nel frattempo gongola. Incontrando il presidente americano, superando la riottosità dello staff di Trump, ha già ottenuto il risultato sperato. Così, parlando con i media del suo paese, il capo del Cremlino dichiara: “Penso che tutto ciò che è connesso al cosiddetto dossier Russia negli Stati Uniti è la manifestazione di una continua lotta interna”. L’intesa è totale. “È importante”, dice Putin ai reporter a Da Nang, “che troviamo l’opportunità, insieme ai nostri team, di confrontarci a livello presidenziale e di parlare delle nostre complesse relazioni (…). Le nostre relazioni sono ancora in crisi. La Russia è pronta a voltare pagina e ad andare avanti”.

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