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Nubi all’orizzonte per la commessa vinta in luglio dal consorzio italiano Aeneas per ricostruire l’aeroporto di Tripoli. Il 5 luglio scorso il ministero dei Trasporti del governo di Unità Nazionale di Tripoli aveva firmato l’accordo con cui il consorzio formato da cinque aziende italiane (Axitea, Gruppo Mazzitelli, Two Seven, Escape e Lion) si è aggiudicato la partita da 79 milioni di euro per rimettere a nuovo lo scalo, distrutto nel 2014 negli scontri fra il governo di Tripoli e le brigate di Zintan. I lavori dovevano iniziare a settembre e concludersi nella primavera del 2019, ma ad oggi non un mattone è stato toccato.

La partita non è di poco conto, specie per la società di security aeroportuale Axitea Spa, che con un contratto da 7 milioni di euro spera di uscire definitivamente da un prolungato periodo di instabilità finanziaria iniziato nel 2015. Anche se il consorzio si è formato nel giugno 2017, secondo il Libya Herald già nel settembre del 2016 l’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni aveva sondato il terreno mettendo in contatto le cinque aziende con il ministro dei Trasporti libico Milad Matoug per mostrare il lavoro fatto con l’aeroporto di Catania. Secondo lo stesso giornale, nel dicembre 2016 il ministro Matoug aveva annunciato al forum della Aviation Holding Company che la partita sarebbe stata assegnata a “una compagnia italiana”.

Ne era seguito un fiume di critiche non solo dalla stampa locale, come il sito Africa Intelligence, che definiva il consorzio “un mistero”, ma anche e soprattutto dal governo di Tobruk guidato da Khalifa Haftar. Un suo deputato, Rujban Salah Suhbi, aveva tuonato contro la partita italiana, negando qualsiasi legittimità al governo di al-Sarraj per autorizzare Aeneas a prendersi carico dello scalo aeroportuale. Lo stesso aveva poi sollevato dubbi sulla trasparenza dell’annuncio della gara pubblica.

Che il consorzio sia stato messo in piedi frettolosamente lo dimostra l’iscrizione al registro delle imprese di Roma, avvenuta soltanto il giorno dopo la firma dell’accordo. A fine luglio, secondo quanto riportato dal Lybia Observer, le proteste contro il consorzio italiano erano arrivate anche a Tripoli: il Lybian Businessmen Council (LBC) aveva infatti inviato una lettera all’Audit Bureau dichiarando che il contratto costituisce “un’esplicita violazione delle leggi locali”.

Non è soltanto la politica libica però a mugugnare contro l’accordo. C’è anche la concorrenza italiana, come il gruppo di costruzioni Emaco, presente da trent’anni nel Paese. Il direttore Arnaldo Guidotti, che segue il progetto dell’aeroporto dal 2015, si è detto contrariato dalla mancanza di un bando di gara pubblico.

Ma soprattutto la concorrenza francese, rappresentata dalla società Aeroports de Paris Ingenierie (ADPI). Il gruppo aveva vinto il contratto per ammodernare l’aeroporto nel 2007 assieme ad altre due aziende, la società di costruzioni brasiliana Odebrecht e la società turca TAV (posseduta al 46% da ADP, impresa madre di ADPI). All’epoca il governo di Muhammar Gheddafi aveva affidato ai francesi anche la costruzione degli scali di Benghazi e Sebha. Con la caduta del regime nel 2011 il lavoro dei francesi era rimasto a metà, ma il governo libico aveva lasciato un debito nei confronti di ADPI da 100 milioni di dollari che le nuove autorità non avevano alcuna intenzione di onorare.

Sul finire del 2015 Odebrecht aveva portato il governo di Tripoli davanti alla Corte Arbitrale Internazionale di Parigi per chiedere il pagamento dei debiti. La società francese aveva preferito aspettare, riponendo le sue speranze nel ministro dei Trasporti del nuovo governo di Unità Nazionale, Milad Mohamed Matoug. Speranze disilluse quando il ministro libico ha annunciato che la partita sarebbe stata affidata agli italiani. Ora i francesi si trovano davanti a un bivio: possono ricorrere anche loro all’arbitrato, ma questo comporterebbe annoverare il debito da 100 milioni, che ora figura fra i crediti futuri, come una perdita nel bilancio.

C’è però un fattore politico imprevedibile che potrebbe riaprire la partita per i francesi. Lo riporta Il Fatto Quotidiano questa domenica: il 15 agosto il generale Haftar, nel bel mezzo delle tensioni con le navi militari italiane al largo delle coste libiche, ha tuonato da Tobruk contro il governo Gentiloni. Il suo ministro dell’economia Munir Ali Asr ha diramato un comunicato che annuncia l’esclusione delle aziende italiane dai bandi di gara o dall’estensione dei contratti esistenti, perché l’Italia sarebbe “ostile al popolo libico”. È vero, l’aeroporto di Tripoli si trova sotto la giurisdizione del governo di Fayez al-Sarraj. Ma qualsiasi compromesso nel breve periodo per l’unità politica del paese dovrà passare per il governo di Tobruk, e l’ostilità di Haftar alle aziende italiane potrebbe compromettere definitivamente la partita del consorzio Aeneas.

Perché la Francia sbuffa contro l'Italia per ricostruire l'aeroporto di Tripoli

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