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Il dissapore cinese nei confronti di Pyongyang e la conseguente convergenza sulle posizioni internazionali sta consentendo all’Onu di provare a stringere sempre più il cerchio intorno all’attuale leader e di utilizzare finalmente un’efficace leva economica per provare a trovare una soluzione all’attuale crisi di sicurezza all’interno della regione. La già citata approvazione della Risoluzione 2375 avvenuta lo scorso 11 settembre sembra poter rappresentare un primo passo in questa direzione. Con il voto favorevole di Cina e Russia, la risoluzione impone nuove e più rigide sanzioni contro attività economiche e individui legati al programma di sviluppo balistico e nucleare del regime.

In particolare: estende la lista di persone sottoposte al congelamento dei fondi, dei conti e delle risorse economiche detenute all’estero, includendo tra queste i membri (o persone a loro collegate) della Commissione militare centrale del partito, del Dipartimento per la Guida e l’Organizzazione e del Dipartimento di propaganda; estende la lista dei materiali dual-use collegati alla produzione di armi di distruzione di massa e materiali e tecnologia ed equipaggiamento bellici, di cui è vietata la diretta o indiretta fornitura, vendita e trasferimento alla Corea del Nord; proibisce l’ingresso nei porti degli Stati membri alle navi che trasportano materiale sottoposto a sanzione proveniente dalla Corea del Nord. Inoltre rafforza il controllo delle navi sospettate di trasportare materiale di importazione od esportazione proibito dalle sanzioni, predisponendo la possibilità per gli Stati membri di procedere alla perquisizione in alto mare (con il consenso dello Stato di bandiera) o all’interno di un porto sulla rotta di transito.

Proibisce la diretta o indiretta fornitura, vendita o trasferimento attraverso il proprio territorio o per mezzo di mezzi di trasporto nazionali o battenti la propria bandiera, di gas naturali sia liquidi sia condensati. Fissa una soglia per l’esportazione di prodotti raffinati del petrolio (500mila barili per i primi tre mesi, 2 milioni di barili all’anno a partire dal 2018) a beneficio di soggetti che non siano connessi al programma balistico o nucleare. Limita per la prima volta l’esportazione verso la Corea del Nord di petrolio e greggio. Vieta l’esportazione da parte della Corea del Nord di prodotti tessili. Sancisce l’interruzione dell’emissione da parte degli Stati membri di permessi di lavoro per cittadini nordcoreani. Proibisce l’istituzione di joint venture o realtà cooperative tra Stati membri e Corea del Nord.

Tali disposizioni vanno ad appesantire le sanzioni già in vigore che proibivano, tra l’altro la vendita di qualsiasi bene di lusso, l’export di carbone, ferro, oro, titanio, vanadio e ogni genere di metalli preziosi nonché l’export di risorse ittiche; sancivano l’interruzione di qualsiasi rapporto con il sistema bancario nordcoreano, imponendo la chiusura di tutte le filiali di banche nordcoreane in Paesi terzi.

Il severo giro di vite imposto dalla risoluzione al governo nordcoreano e l’effettiva implementazione da parte di tutti gli attori coinvolti, compresa la Cina, delle nuove disposizioni, potrebbero rendere le sanzioni economiche un utile strumento di pressione nei confronti di Pyongyang. In un momento in cui la leadership appare quanto mai risoluta nel voler perseguire le proprie ambizioni nucleari, la Comunità internazionale ha la possibilità di agire su quel secondo pilastro della strategia di byungjin (lo sviluppo economico) non solo per indebolire la leadership ma anche per minarne la credibilità agli occhi dell’opinione interna.

L’applicazione delle sanzioni approvate dell’Onu, infatti sembrerebbe destinata a colpire non tanto Kim Jong-un in sé quanto le alte sfere delle gerarchie militari e burocratiche, che hanno consolidato il proprio potere e i propri privilegi sulla gestione dei flussi di moneta forte e delle attività illecite condotte in questi anni dal regime. Inoltre le nuove sanzioni potrebbero avere un effetto diretto anche sui flussi di finanziamento della Royal Economy, riducendo così in modo considerevole e risorse nel tesoretto a disposizione del leader per continuare ad elargire quei regali che gli hanno fino a ora consentito di mantenere un alto livello di gradimento tra i quadri dell’apparato statale.

Per quanto, dunque, gli effetti concreti delle sanzioni economiche sono generalmente visibili nel medio periodo, il ridimensionamento delle possibilità finanziarie della leadership e delle occasioni di arricchimento personale delle gerarchie nordcoreane potrebbe iniziare a creare delle significative crepe all’interno del sistema.

In un sistema come quello precedentemente descritto in cui la rigidità della sovrastruttura è animata in realtà da legami più informali e personali, il malcontento generato dalla stretta imposta dalle sanzioni potrebbe trasformarsi in un diffuso sentimento di sfiducia, soprattutto tra quelle cerchie di potere appartenenti alla vecchia generazione che sono stati fino ad ora legati a Kim Jong-un per mera opportunità politica più che per un riconoscimento della legittimità del ruolo che ricopre. Ciò innescherebbe nel medio periodo delle finestre di opportunità per la Comunità internazionale, che potrebbe provare a cercare tra questi insoddisfatti dei nuovi interlocutori, interessati ad interrompere l’isolamento economico e politico per salvaguardare i propri interessi, e trovare così una inaspettata leva di pressione con cui innescare un cambiamento del regime dall’interno.

kim jong un

Ecco come le sanzioni Onu contro la Corea del Nord metteranno a stecchetto Kim

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