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C’è aria di licenziamenti nel Dipartimento di Stato americano. Il Segretario di Stato Rex Tillerson, coerente con una promessa fatta fin dai primi giorni nell’amministrazione Trump, ha annunciato tagli pesanti fra i diplomatici statunitensi. In una lettera al senatore Bob Corker, presidente del comitato per gli affari esteri del Senato, Tillerson esprime la necessità di ridurre il numero degli inviati speciali, ad oggi quasi 70, per eliminare o accorpare ad altre missioni le cariche non più ritenute vitali.

Una decisione in perfetta linea di continuità con quanto annunciato da Trump all’inizio del suo mandato, quando aveva avvisato di voler tagliare il 30% del budget del dipartimento di Stato. “Credo che il Dipartimento riuscirà ad eseguire meglio la sua missione aggregando alcuni inviati e uffici di rappresentanza speciale all’interno dei bureau regionali e funzionali” si legge nella lettera, “questa integrazione eliminerà le ridondanze che diminuiscono l’abilità di un bureau di svolgere le sue funzioni primarie”.

Tra le sostituzioni che faranno levare le barricate delle associazioni ambientaliste c’è quella dell’inviato speciale per i cambiamenti climatici. A dire il vero però, come si legge sul sito del dipartimento, la carica è già vacante: era ricoperta da Johnathan Pershing, nominato da Obama nella primavera del 2016 con lo scopo di condurre i negoziati degli accordi di Parigi (Coop21). Dati gli esiti delle trattative, non sorprende che l’amministrazione Trump abbia congedato Pershing, ora approdato al Dipartimento dell’Energia.

Delle 66 posizioni indicate nella lettera, Tillerson ha chiarito di volerne mantenere 30. Quanto alle restanti, 21 inviati saranno integrati in altri bureau, 5 posti saranno fusi con altre posizioni già esistenti, nove saranno cancellati del tutto. Salteranno fra le altre le teste quelle dell’inviato speciale per la Siria, Micheal Ratney (che però sarà sostituito), di Donald Booth (Sudan e Sud Sudan), Julia Gourley (Consiglio Artico).

Stupisce che venga sostituita Alice G. Wells, inviata speciale in Afghanistan e Pakistan, proprio all’indomani del pubblico annuncio di Trump di voler proseguire quanto fatto dai suoi predecessori inviando nuove truppe a Kabul. La carica, come d’altronde quasi tutte le altre traballanti, era stata istituita ad hoc da Obama all’inizio della sua presidenza nel 2008. Rimane vacante un altro ufficio chiave, quello della politica delle sanzioni, un’arma diplomatica usata ampiamente da Obama contro la Russia di Putin. Da quando a febbraio Dan Fried ha lasciato il posto, il personale si è ridotto a soli due membri.

Non è stato ritenuto sufficientemente strategico da rimanere in vita il posto, già vacante da gennaio, di Paul Lewis, l’inviato speciale per la chiusura di Guantánamo, la contestatissima prigione cubana dove gli USA hanno rinchiuso negli ultimi decenni i prigionieri accusati (talvolta solo sospettati) di terrorismo. “Nelle oscure prigioni di Abu Grahib e nelle celle di detenzione di Guantánamo, abbiamo compromesso i nostri valori più preziosi” aveva gridato Obama in un comizio della sua prima campagna elettorale, salvo poi non riuscire a chiudere la prigione, complice l’ostruzionismo del Congresso.

Forse anche per raffreddare gli animi dopo l’ondata di proteste seguite al divieto per i transessuali di entrare nell’esercito e agli episodi di Charlottesville, Tillerson ha deciso di mantenere fermi al loro posto gli inviati per i diritti LGBT, i diritti delle donne e per la lotta all’anti-semitismo. Gli uffici per la libertà religiosa, la lotta all’HIV e l’Olocausto saranno addirittura allargati. Rimangono ben salde le scrivanie di due inviati fondamentali per la politica estera di Trump: Frank Lowestein, responsabile per il conflitto israelo-palestinese, e soprattutto l’inviato per l’Ucraina nominato in luglio da Tillerson in persona, Kurt Volker.

Il repulisti del Segretario di Stato ha incontrato la piena approvazione all’interno del dipartimento. Lo stesso Corker cui Tillerson ha inviato la lettera aveva dichiarato in una precedente audizione che gli inviati speciali “fanno più male che bene”, arrivando a sperare “di liberarsi di tutti quelli fra loro che non sono necessari. E io penso che la maggior parte non sia necessaria”.

Mugugna invece il presidente dell’Accademia Americana di Diplomazia Ronald Neumann: “La reazione sembra essere, “questo è il mio praticello e io voglio proteggerlo”, Tillerson e i suoi non si stanno consultando ampiamente nelle loro scelte, e per questo stanno creando opposizione”.

sanzioni, Tillerson

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