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Nel bailamme che sta segnando queste ore intense di campagna elettorale, cominciano ad avere la loro influenza alcuni giudizi esterni che vengono a cadere sui partiti e sui politici italiani.

Poche ore fa, ad esempio, Pierre Moscovici è intervenuto duramente contro Luigi di Maio per rimproverargli il suo proclama a favore dello sforamento del tetto del 3% nel rapporto tra deficit e Pil, mentre altri giudizi severi dell’Europa sono arrivati in merito alle presunte parole razziste pronunciate dal candidato della Lombardia del centrodestra Attilio Fontana.

Da questo vortice di normali ingerenze, non sempre del tutto giustificate, non è restato immune neanche Matteo Renzi, il quale, ovviamente su di un piano molto diverso e meno circostanziato rispetto ai precedenti casi, è stato oggetto di critiche da parte di Sergio Marchionne.

L’amministratore delegato di FCA, parlando infatti dei prossimi investimenti che il Gruppo potrebbe tornare ad avere nel nostro Paese, ha riconosciuto di aver all’inizio sostenuto con speranza il segretario del Pd, sebbene adesso non possa nascondere una certa delusione, soprattutto da quando egli non è più a Palazzo Chigi: “Renzi mi è sempre piaciuto come persona. Quello che è successo a Renzi non lo capisco. Quel Renzi che appoggiavo non l’ho visto da un po’ di tempo”.

A scanso di equivoci va subito osservato che non si tratta per Marchionne di un cambiamento di orientamento politico. Più volte il manager di Detroit, ereditando un’impostazione neutrale che da sempre la Fiat ha custodito con cura, ha espresso il suo favore per chiunque stia al governo e garantisca di rimanerci. Dunque il suo strale conferma che la fiducia in passato risposta su Renzi era, in ogni caso, strumentale al ruolo di presidente del Consiglio ricoperto allora dal politico fiorentino, precisamente in una fase iniziale che la sua ascesa politica sembrava irresistibile e inarrestabile. Questa presa di posizione severa, semmai, registra adesso come un fatto acclarato la crisi della sua leadership personale.

È in questo senso che va inteso lo sconforto manifestato, quasi a voler far trapelare per di più un sentimento di incertezza generale, presente Oltreoceano, verso il risultato politico con cui il centrosinistra uscirà dalle urne il prossimo 4 marzo.

Allargando lo sguardo possiamo leggere tra le righe, quindi, un certo riposizionamento dei grandi poteri internazionali che stanno guardando con occhi laici quanto succede nel nostro Paese.

Per quanto riguarda Renzi, d’altronde, i risultati eccezionali da lui raggiunti nel 2014 alle Europee erano conseguenza di un momento di vuoto in cui all’orizzonte non era ancora maturata una situazione come quella attuale, nella quale invece sono affiorati sulla scena altri personaggi che hanno la concreta legittimazione di guidare il cambiamento e la crescita economica futura dell’Italia. Persino rimanendo unicamente all’interno del centrosinistra, da Gentiloni a Minniti non mancano infatti figure autorevoli che possano avere credenziali di Governo competitive e rassicuranti.

In aggiunta, la leadership di Renzi sta pagando ora un prezzo doppio: da un lato la scissione interna al Pd, in tutti i modi voluta dal segretario dopo che sono stati altrettanto volontariamente perseguiti prima la rottamazione e poi il fallimentare Referendum Costituzionale; dall’altro, lo scandalo Consip il quale, anche senza entrare nel merito della questione giudiziaria, indubbiamente getta un’ombra forte sul cerchio renziano, appannando il fuoco di rinnovamento che sembrava all’inizio rappresentare.

Non bisogna, d’altronde, trascurare altre due cause che possono spiegare bene l’abbandono che Renzi sta subendo da parte di Marchionne e di altri poteri forti. Il primo è di carattere generale. Se i governi di centrosinistra sono riusciti in parte a fare alcune politiche tradizionalmente moderate e positive, come la riforma del lavoro e dell’industria, oggi il consenso elettorale si sta spostando più verso il centrodestra, il quale potrebbe accelerare e completare in modo più spinto le trasformazioni già avviate dall’attuale maggioranza, magari aggiungendovi una consistente riduzione fiscale e una maggiore attenzione per le esigenze della classe media.

In ultimo, nell’area del Pd una figura in ascesa come Carlo Calenda sembra garantire un grado di competenza e affidabilità non soltanto molto più forte sul piano tecnico ma anche sempre più consistente sul piano politico.

La politica di Renzi, insomma, è chiaramente allacciata esclusivamente alla sua persona. E per il Pd, anche nella migliore delle ipotesi, il futuro riserva un ruolo collegiale di maggioranza o un difficile periodo di opposizione. Alternative entrambe per nulla congeniali al renzismo.

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