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Proseguono a tentoni le trattative fra Gran Bretagna ed Unione Europea sulla Brexit. Allo scopo di salvaguardare il proprio potere contrattuale, Londra cerca di usare la questione irlandese per disegnare un nuovo accordo commerciale, ignorando le trattative sul divorzio e scatenando l’ira di Bruxelles.

Nessun argomento, nei negoziati riguardanti la Brexit, risulta più delicato che quello dei futuri confini fra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord. In ballo, sostiene il governo di Dublino, non ci sarebbe solo la libera circolazione nell’unico confine terrestre fra Unione Europea e Gran Bretagna, ma la riapertura del conflitto nella parte settentrionale dell’isola. Secondo gli accordi esistenti fra Irlanda e Regno Unito, infatti, tutti i cittadini nordirlandesi hanno diritto alla doppia cittadinanza, una soluzione che, assieme alla libera circolazione alla contemporanea presenza dei due paesi nella UE, ha permesso di depotenziare le fratture sociali ed identitarie esistenti fra le due comunità.

Onde evitare tale scenario, e prima dell’inizio ufficiale dei negoziati, la Repubblica d’Irlanda ha richiesto che la questione dei confini sia fra le priorità dell’Unione Europea nello sviluppo delle trattative, archiviando il supporto sia del Consiglio d’Europa che della Commissione Europea.

Una richiesta accettata anche dalla Gran Bretagna: sotto molti aspetti, questo costituisce uno dei pochi asset a favore del Regno Unito all’interno delle trattative attualmente in corso con Bruxelles.

Nel tentativo di discutere il prima possibile sui futuri accordi commerciali post-Brexit, la Gran Bretagna, infatti, ha deciso di giocare subito la carta irlandese. In una delle prime richieste formali presentata dal governo britannico al capo-negoziatore europeo Michel Barnier, Londra ha “aggredito la questione irlandese” proponendo, come soluzione, la stipulazione di un nuovo “accordo tariffario” fra UE e Regno Unito. Questo prevederebbe la creazione di una serie di tariffe fisse applicate alle merci in transito dall’Europa verso la Gran Bretagna rendendo, di fatto, inutili i controlli doganali preservando, inoltre, l’apertura delle frontiere nell’isola irlandese. Si otterrebbe così una forma di libera circolazione delle persone senza la partecipazione britannica al Mercato Comune e limitata ai cittadini britannici ed irlandesi. Il documento non specifica, però, come Londra intenda attuare i controlli su gli altri cittadini europei transitanti per il nuovo “non-confine”.

“Un accordo sulle future relazioni fra UE e Regno Unito potranno essere finalizzate solo dopo l’avvenuta uscita di Londra dall’Unione.”

— Nota ufficiale della Commissione Europea

Il punto di vista britannico è semplice. Il nuovo accordo permetterebbe di evitare il temuto quanto drastico aumento dei costi di importazione con benefici sia per la popolazione che per le finanze del Regno, le quali già vedono l’esistenza di un deficit commerciale nei confronti dell’Unione che nel 2016 ammontava a 13 miliardi di sterline. Allo stesso modo, tale accordo garantirebbe alla Gran Bretagna l’uscita dall’Unione Doganale, uno dei pilastri degli Hard-Brexiters, preservandone la possibilità di ottenere, in futuro, migliori accordi commerciali.

Il documento presentato martedì a Bruxelles è solo il primo di una serie di dodici proposte sul cosiddetto “divorzio” che il governo britannico presenterà nei prossimi mesi all’Unione Europea. Sul processo incombe la deadline di ottobre, quando il Consiglio Europeo dovrà decidere se procedere o meno alla seconda fase dei trattati, quella fondamentale sugli accordi commerciali.

Dopo poche ore dalla consegna, è arrivato il secco rifiuto da parte dell’Unione Europea con tanto di reprimenda. Londra, sostiene Bruxelles avrebbe presentato proposte confuse ed irrealistiche allo scopo di saltare a piè pari la trattativa sul divorzio. Arrivare ad un accordo commerciale prima di quest’ultimo rimane, infatti, un punto essenziale per il governo britannico. Il Regno unito necessità, infatti, di un accordo commerciale privilegiato e la Brexit-Bill sarebbe l’unica moneta di scambio nei confronti della UE. Arrivare a tale discussione DOPO gli accordi sui pagamenti richiesti dall’Unione avrebbe la conseguenza di depotenziare, e non di poco, la posizione negoziale di Londra.

Nonostante a Londra si cerchi di minimizzare, il diniego europeo rappresenta un’ulteriore sconfitta del governo May sempre più in difficoltà nell’applicazione della Hard-Brexit, ovvero quell’uscita totale dall’Unione Europea che permettere al Regno Unito di “ristabilire la propria autonomia economica”, come più volte ripetuto dallo stesso Primo Ministro.

Nel paese, al contrario, cresce la diffidenza verso questa soluzione. Un recente sondaggio ha mostrato come, a luglio, solo il 46% dei Britannici sia ancora favorevole alla Hard-Brexit, un netto e costante calo rispetto a quel 61% toccato a marzo. Questo ha portato non solo l’opposizione, ma membri stessi del governo, ad immaginare una Brexit più leggera, magari dilatata nel tempo.

 

Pubblicato dall’autore su: il Caffè e l’Opinione

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