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Sparkle è davvero strategica? Sì, e lo Stato potrebbe e dovrebbe intervenire. No, perché nel settore ci sono già altre aziende e per nessuna di loro invoca l’italianità. E’ questa, in estrema e brutale sintesi, la discussione sotto traccia nei ministeri e fra gli addetti ai lavori che lambisce la controllata di Tim-Telecom Italia, Sparkle, azienda che detiene cavi sottomarini da cui passano per le comunicazioni e che collegano Italia, Stati Uniti, Nord Africa e Medio Oriente. Il dibattito nasce dal peso del socio francese di Tim, il gruppo Vivendi di Vincent Bolloré. Ecco fatti, antefatti, indiscrezioni e scenari.

LA DIATRIBA SU VIVENDI

Vivendi primo azionista di Telecom. Vivendi controlla le aziende di Telecom. Due affermazioni semplici che però diventano complesse se si considera che tra le società dell’ex monopolista ci sono le società Sparkle e Telsy (che fornisce servizi software grazie ai quali vengono protette le comunicazioni sensibili tra enti governativi, qui un approfondimento di Formiche.net). Al 30 giugno scorso risulta che il 23,94 per cento di Tim è in mano al gruppo francese del finanziere bretone Vincent Bolloré, il 58,13 per cento a investitori istituzionali esteri, e il restante 17,93 per cento è diviso tra altri azionisti e investitori istituzionali italiani. (qui l’approfondimento sulla tenzone giuridica fra governo e Tim)

LA QUESTIONE SPARKLE

In un quadro del genere è evidente che Vivendi controlla anche le società 100 per cento Telecom come Sparkle che con i suoi 560 mila chilometri di cavi, perlopiù sottomarini, collega l’Italia a Stati Uniti, America, Nord Africa e Medio Oriente. E’ per questo che il governo, secondo le ricostruzioni giornalistiche di questi giorni compresa quella odierna del Sole 24 Ore, starebbe pensando di obbligare Vivendi – grazie alla legge sulla Golden power secondo il titolare dello Sviluppo economico, Carlo Calenda – a cedere Sparkle, tra i primi dieci fornitori di servizi Internet al mondo, e anche Telsy, a società statali o a partecipazioni del Tesoro: Cdp?, come si scrive da giorni. O Finmeccanica?

CHE COSA E’ SPARKLE

Attraverso i cavi di Sparkle e i suoi «Pop», «point of presence», ovvero punti di accesso alla rete passano le comunicazioni telefoniche e internet praticamente di mezzo mondo. La società è presente – si legge nel bilancio 2016 – in 37 Paesi con 753 dipendenti, particolarmente in Europa, Mediterraneo e Nord/Sud America, aggiungono gli amministratori nella relazione al bilancio: “La società è il settimo operatore mondiale del traffico internet commerciale e il secondo in Europa, dietro TeliaSonera. La sua è una posizione strategica, collocata in particolare al centro del Mediterraneo, in Sicilia – ha scritto il Corriere della Sera – L’intreccio di fibra ottica a marchio Sparkle abbraccia l’Oceano Atlantico e quello Indiano, circumnaviga l’Africa, il Medio Oriente e l’America Latina e si snoda in tutte le direzioni nei fondali del Mediterraneo. Ha uffici in 37 Paesi, compresa l’Arabia Saudita, la Russia, l’India. Ha di recente aperto un Pop in Iran, a Teheran, prima e unica compagnia occidentale ad essere autorizzata a farlo”.

LA POSIZIONE DI GIACOMELLI

Nel frattempo il sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, sembra dissentire con Palazzo Chigi sull’importanza di Sparkle e dubita del fatto che sia poi così strategica per il nostro Paese. Intervistato dalla Stampa pochi giorni fa, si è dichiarato favorevole a un accordo industriale fra Vivendi e Mediaset ma non a separare Telecom dalla rete perché teme che “sarebbe una norma di stampo dirigista”. Non solo: “Che la rete non valga le cifre di cinque anni fa è evidente, e ciò vale anche per i cavi sottomarini di Sparkle – ha aggiunto Giacomelli – Le faccio qualche esempio: oggi Sparkle gestisce solo il 30 per cento delle comunicazioni provenienti da Asia, Africa e Medio Oriente”. A questo punto il sottosegretario cita un’altra azienda del settore: “Qualche anno fa Bezeq International ha realizzato un collegamento di 2.300 chilometri fra Tel Aviv e Bari. Risultato: il 60 per cento delle nostre comunicazioni con Israele lo gestiscono loro”.

LE PREOCCUPAZIONI DI GARANTE E COPASIR

Non tutti, nelle istituzioni, condividono l’impostazione di Giacomelli, che sembra distanziarsi dal forcing di Calenda. Sia il Garante della privacy che il Copasir temono che possa svanire l’italianità di Sparkle, ritenuta dunque strategica per l’Italia. Giacomo Stucchi (Lega), presidente del Comitato parlamentare sui Servizi segreti, ha detto che Sparkle “deve rimanere in mani italiane”. Il giorno dopo il presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, ha sottolineato: “E’ assolutamente ragionevole che il governo si preoccupi della necessità di garantire la sicurezza di una rete tanto importante quale quella controllata da Telecom, sulla quale transitano dati e comunicazioni personali così rilevanti e delicati”.

CHI FA CONCORRENZA A SPARKLE

Ma fra gli addetti ai lavori, e pure nelle stanze di alcuni ministeri, c’è chi invece fa notare che Sparkle ha ormai una rilevanza strategica minore rispetto al passato. E si menzionano a questo scopo alcune società concorrenti. Nello stabilimento Italtel di Carini, in Sicilia è nato Open Hub Med (Ohm). Si tratta di un consorzio di undici imprese di diversa dimensione – si va da Fastweb e Italtel a realtà locali come Mandarin di Acireale, Whisnet di Carini e Demetrix di Palermo – che ha insediato nell’isola il primo hub indipendente di connessione Internet. Un’operazione possibile grazie a Interoute, operatore del consorzio Ohm, che possiede la rete di nuova generazione più estesa dell’Unione europea: da Londra alla Sicilia arriva fino in Turchia e poi si collega al principale hub di telecomunicazioni del Nord America, connette l’Asia tramite Hong Kong e Singapore e il Medio Oriente tramite Dubai. Infine, si spinge a sud da Città del Capo a Tunisi.

IL RUOLO DI INTEROUTE

In Europa Interoute vanta 70 mila km di fibra e 24 reti metropolitane grazie alle quali serve clienti che parlano le 15 principali lingue dell’Ue. E’ evidente che con un operatore del genere Open Hub Med ha potuto “spezzare il monopolio del colosso Telecom Sparkle che per primo ha sfruttato la posizione della Sicilia, punto di snodo dell’enorme rete di cavi, per la maggior parte sottomarini, che unisce cittadini e imprese del globo con telefoni e Internet”, ha scritto Repubblica. Interoute, comunque, in Sicilia si attacca alla rete di Sparkle. Traducendo in numeri, 120 mila chilometri di cavi in fibra ottica all’interno dei quali passano circa 7,3 miliardi di giga di dati al mese, cifra che dovrebbe quadruplicarsi da qui al 2019. Se la Sicilia “fino a oggi è stata solo un punto di passaggio e circa il 90 per cento di traffico fra Medio Oriente e Nord Europa la aggirava sbarcando a Marsiglia per poi raggiungere il più grande hub commerciale del mondo a Francoforte” oggi con l’arrivo di concorrenti cosiddetti “neutrali” si possono “aggirare i monopoli dei colossi delle tlc per abbassare costi e tariffe”. E’ in un quadro del genere che si inserisce questo consorzio-polo tecnologico. Peraltro, dopo Interoute, “stanno per attivare le reti anche Fastweb e Retelit con proprie soluzioni infrastrutturate e a seguire saranno accesi gli apparati degli altri operatori soci”.

COSA SUCCEDE IN SICILIA

E sulla Sicilia come hub delle tlc potrebbero mettere gli occhi anche altri: basti pensare che la saudita Hostgee dal 2016 ha messo “armadi” dei suoi server all’interno dell’hub di Sparkle a Palermo. La Sicilia è uno snodo chiave della rete di Sparkle: nell’isola passano 12 dei 16 cavi internazionali che attraversano il Mediterraneo. A Palermo, nel Sicily Hub, sono ospitati anche i server di Google che gestiscono il traffico nei Paesi del Mediterraneo. Ha detto di recente Alessandro Talotta, ad di Sparkle: “Oggi il traffico dati da Asia, Medio Oriente, Golfo e Africa, arriva comunque in Sicilia, ma qui viene instradato su altri cavi e portato fino a Francoforte e Marsiglia. Sono cavi della rete Telecom ma su cui Telecom ha solo ricavi di puro transito. “In diretta concorrenza – ha chiosato venerdì scorso il Corriere della Sera – con un hub simile, basato a Marsiglia, in Francia”.

L’ALTRO HUB A MARSIGLIA

Ma chi si cela dietro il centro di smistamento dati di Marsiglia? A gestirlo è la società con base nei Paesi Bassi e quotata a Wall Street, Interxion, fornitrice di servizi legati ai data center che in Europa lavora con 35 centri, tra cui appunto Marsiglia. Nell’azionariato di Interxion compare con una quota di rilievo (circa il 27% )il fondo di private equity Baker Capital. Baker Capital partecipa al capitale Canal+, la televisione a pagamento francese di proprietà di Vivendi, primo azionista di Tim. Chi critica l’enfasi sulla strategicità nazionale di Sparkle è anche l’economista e saggista Franco Debenedetti, che oggi sul Sole 24 Ore scrive: “Il governo, invece di continuare a strologare come levargliene un pezzo, ha interesse che Tim continui ad essere una grande azienda – secondo Debenedetti, presidente del centro studi liberista Istituto Bruno Leoni diretto da Alberto Mingardi, vicepresidente della Fondazione Tim – A ben vedere, a questo si riduce il vero interesse strategico di Sparkle per il Paese: che resti dov’è”.

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