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A testimonianza del tradizionale comportamento tedesco quando si tratta di misure normative, la Corte Costituzionale di Karlsruhe si appresta ora, sulla base di ricorsi presentati da esponenti di destra, a richiedere alla Corte di Giustizia Europea un pronunciamento sulla coerenza del Quantitative easing (Qe) della Bce con l’ordinamento della stessa.

Non è la prima volta che la Consulta tedesca si rivolge alla Corte Ue su iniziativa di gruppi di cittadini e associazioni. Finora però la Corte ha sempre ritenuto legittimo – con particolare riferimento alle operazioni di acquisto Omt – il comportamento della Banca Centrale Europea, ponendo qualche ragionevole condizione.

La Commissione Europea attraverso qualche portavoce ha subito espresso la propria posizione ritenendo in armonia con il predetto ordinamento l’acquisto di titoli anzidetto. In Germania invece, a cominciare dalla stessa Bundesbank, è diffuso l’atteggiamento contrario al Quantitative easing con motivazioni che vanno dal favore che così si renderebbe a diversi Paesi, ritardando la messa in ordine da parte loro dei conti pubblici e l’introduzione di riforme strutturali, all’impatto che l’insieme delle operazioni non convenzionali della Bce esercita sulla remunerazione del risparmio, che verrebbe sfavorito. Si tratta di critiche sostanzialmente di policy, che nulla hanno a che vedere con il rispetto dell’ordinamento e alle quali comunque diverse volte ha risposto esaurientemente Mario Draghi. In particolare, il cittadino non è solo risparmiatore ma è anche percettore di un reddito o di una pensione e non può non essere interessato alla crescita dell’economia, in un contesto di stabilità monetaria e finanziaria, che dalle misure della Bce trae sostegno.

In materia di conti pubblici e di riforme di struttura il discorso è più complesso e la costrizione ad adottare provvedimenti adeguati sta nella politica economica, europea e nazionale, non nel rinunciare da parte della Bce a svolgere un compito che rientra pienamente nel suo mandato.

Quanto al profilo giuridico del Quantitative easing, l’imperativo che regola l’attività dell’istituto di Francoforte per il mantenimento della stabilità dei prezzi impone l’adozione di una tale misura, che si è iniziato ad assumere mentre si manifestavano gravi rischi di deflazione e alcuni Paesi dell’area già ne erano stati colpiti. Tuttora, essendo lontani dall’obiettivo-vincolo per l’inflazione (intorno ma sotto il 2%), occorre insistere con la manovra di politica monetaria per riportare l’aumento dei prezzi a quel livello, naturalmente a condizione che cresca anche l’economia e, con essa, il reddito. Nel momento in cui è stata minacciata anche la stessa esistenza della moneta unica, che ha rischiato di disintegrarsi, sarebbe stato gravissimo e illegittimo non ricorrere a misure straordinarie per la salvezza della stessa moneta.

Non è dunque prevedibile, allo stato dei fatti, una pronuncia della Corte Europea favorevole ai ricorrenti. Ma l’episodio è significativo dell’attivismo che si riscontra in Germania, mentre di esso non si ha traccia in Italia per quel che riguarda le norme e i controlli da parte della Vigilanza unica sulle banche, che al contrario potrebbe essere manifestato con ben altro fondamento e probabilità di successo. È vero che le possibilità di adire la nostra Consulta sono diverse da quelle di cui fruiscono i cittadini in Germania e che in ogni caso gli ordinamenti sono diversi; ma se anche in Italia una buona volta si iniziasse ad assumere, in qualche caso che lo merita, un atteggiamento di reazione in sede giurisdizionale, agendo con il fine di arrivare magari fino alla Corte Costituzionale, è probabile che il quadro dei rapporti con i burocrati rigoristi di Francoforte muterebbe. Si sperimenterà mai un tale percorso, anche per non ridurre sempre il tutto alle lamentazioni di Geremia?

(Pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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